sabato 24 settembre 2005
«Se vedo la caduta nel peccato di un fratello è bene nasconderla?», chiese un monaco al padre Poemen. Quel sapiente gli rispose: «Nell"ora in cui copriremo la caduta di un nostro fratello, anche Dio coprirà la nostra caduta; nell"ora in cui la sveleremo, anche Dio svelerà la nostra».Il deserto egizio nell"antichità cristiana fu popolato da eremiti e monaci che, in quelle aspre solitudini, annientata ogni falsa necessità, si dedicavano alla contemplazione, alla meditazione, a un"esistenza essenziale e serena, nonostante le prove interiori e ambientali. Tra costoro ci fu Poemen, vissuto tra il IV e il V sec. e autore di molti detti e parabole, tra le quali abbiamo scelto l"odierna nostra citazione. Uno dei temi cari a questo monaco era quello della conoscenza della fragilità umana, ossia la consapevolezza del proprio e altrui limite.Questa certezza genera la generosità e la compassione nei confronti delle cadute nel peccato da parte dei fratelli. È ciò che si insegna proprio nel breve ammaestramento che Poemen riserva al discepolo. Dobbiamo riconoscere che, invece, quando noi vediamo l"errore di un altro, siamo quasi spontaneamente attraversati da una sorta di fremito di gioia. Ed è solo a fatica che ci tratteniamo dal propalare quella caduta: si pensi solo al vizio della mormorazione che attecchisce in tutti gli ambiti, anche in quelli ecclesiali. L"osservazione di Poemen è, in pratica, la stessa di quella evangelica: siamo implacabili con le pagliuzze dei fratelli, ma ignoriamo le nostre travi. Perciò sarà Dio a svelare la nostra ipocrisia; sarà lui - come continua ad ammonire Cristo - ad applicare a noi la stessa misura di giudizio che abbiamo adottato nei confronti degli errori altrui, misura severa, esigente, inesorabile, oppure ampia, generosa, misericordiosa.
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