martedì 7 agosto 2007
È impossibile godere a fondo dell'ozio se non si ha una gran quantità di lavoro da fare.
Il titolo dell'opera è già tutto un programma: Pensieri oziosi di un ozioso. È un testo di filosofia spicciola che lo scrittore inglese Jerome Klapka Jerome pubblicò nel 1889. La considerazione che fa questo autore, divenuto celebre per il romanzo Tre uomini in barca, un classico dell'umorismo britannico, merita attenzione proprio in questi giorni di ferie. Sì, sono molte le riflessioni che sono state intessute attorno al vizio capitale della pigrizia, un vizio spesso guardato con occhio bonario.
Certo, è vero che una persona che ha poco da fare, alla fine non riesce a gustare il sapore di una vacanza; per riposare bisogna essere stanchi, come per vivere in pienezza un tempo di quiete assoluta è necessario avere impegni che ti assediano, altrimenti non si sa cosa significhi essere in serenità e tirare il fiato.
Eppure quello che dice Jerome merita una serie di aggiunte. C'è, infatti, chi gode dell'inerzia pur avendo una vita senza impegni: si avvoltola nella pigrizia come in un grembo protetto. Era lo stesso scrittore che nella sua opera più nota, sopra citata, ironizzava:
«Amo il lavoro; mi affascina. Posso star seduto per ore a guardarlo». Così, al contrario, ci sono persone che non riescono a godere un po' di tregua, perché sono " come dicono gli inglesi " workaholic, "lavorodipendenti", aggrappati al cellulare o ai terminali, pronti a correre di qua e di là. Convinti che ogni attimo perso è un guadagno o un risultato svanito. È, dunque, difficile saper "riposare" veramente; eppure è una dieta dell'anima necessaria e, per essere tale, non deve ridursi al puro e semplice «non far niente».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: