martedì 7 giugno 2011
Quando l'ombra cresce, è la fine della giornata. Quando il dubbio aumenta, è il tramonto della religione.

In una giornata serena e assolata è sempre emozionante, qui a Roma, vedere stendersi sul profilo del Cupolone l'ombra del crepuscolo. Prima è tenue e lascia emergere il disegno armonico dei costoloni, delle aperture, del pinnacolo supremo; poi tutto si cancellerebbe nell'indistinto dell'oscurità, se non ci fosse l'irrompere dei fari elettrici. È, questa del tramonto, una metafora che Victor Hugo, il celebre autore francese, nella frase citata applicava alla vicenda della fede. Proprio perché credere non ha l'evidenza automatica di un teorema, ma è un'adesione intima a una verità e a una persona, Dio, è naturale che la fede sia alonata dal dubbio. Anche il cuore di Abramo, mentre saliva l'erta del monte Moria sentendo echeggiare nella mente lo sconcertante imperativo divino sul sacrificio del figlio, doveva certamente essere striato di tenebra. C'è, quindi, un dubbio sano o almeno fisiologico: «È men male agitarsi nel dubbio, che riposar nell'errore», diceva Alessandro Manzoni.
Il pericolo è quando il dubitare si trasforma lentamente in un sudario nero che dilaga dispiegandosi su tutta la mente e il cuore. Ciò che sta sotto scompare e si dissolve nel buio dell'incredulità o dell'indifferenza. In italiano, quando una cosa è certa, diciamo: «Non c'è ombra di dubbio». Tuttavia, sopra abbiamo detto che ci può essere un dubbio naturale nel credere e nell'amare: esso è, in verità, domanda e richiesta di fronte a una realtà vivente e non statica, personale e non matematica. Il rischio è quando il dubbio si allarga e diventa scetticismo radicale e universale. I due estremi da evitare, perciò, sono questi: non dubitare di niente e dubitare di tutto. E questa è una legge che può riguardare tutto il nostro pensare, agire e vivere.
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