sabato 9 aprile 2022
Il viaggio a Kiev è lì, «sul tavolo». Papa Francesco lo ha detto la settimana scorsa, nel viaggio d'andata verso Malta. E l'ha ribadito nel viaggio di ritorno: «La disponibilità c'è sempre, non c'è un “no”. Sono disponibile. Mi hanno chiesto se c'è in programma un viaggio in Ucraina, io ho detto: è sul tavolo. Ma non so se si potrà fare, se è conveniente farlo, se è per il meglio e se devo farlo». Poche ma chiarissime parole, per dire quanto sia complesso organizzare un viaggio in un Paese in guerra. Sia dal punto di vista diplomatico che da quello, certo non secondario, della sicurezza. E, al momento, sicuramente anche solo pensare a un viaggio a Kiev è un vero rompicapo.
Giovanni Paolo II si dovette scontrare diverse volte con questa realtà. Nel febbraio del 1993, durante la visita apostolica in Benin, Uganda e Sudan, quest'ultima tappa rimase in sospeso fino, letteralmente, all'ultimo minuto. Nel Paese, dopo il colpo di Stato di quattro anni prima che aveva portato al potere Omar al-Bashir, era stato introdotto un codice penale fondato sulla Sharia, la legge islamica, cosa che aveva portato a una guerra civile tra il nord, a maggioranza araba e musulmana, e il sud, a maggioranza cristiana e animista, contraria alla islamizzazione forzata voluta dal governo. Solo nove ore, con l'ok definitivo arrivato il giorno prima, e durante le quali gran parte del seguito del pontefice dei giornalisti del volo papale dovette aspettare in aeroporto il ritorno di papa Wojtyla.
Ma solo un anno dopo il miracolo non si ripeté. Giovanni Paolo II voleva andare a Sarajevo, stretta da uno dei più lunghi assedi della storia, in quel 1994 già al secondo anno. Il Papa sarebbe dovuto arrivare con un aereo con le insegne dell'Onu, per una visita-lampo di sole quattro ore, praticamente solo il tempo per celebrare una Messa. I giornalisti che avrebbero dovuto seguirlo erano già da alcuni giorni all'aeroporto di partenza. Si aspettava solo la luce verde per partire, che però non arrivò mai. Non si è mai saputo con certezza chi alla fine pronunciò il «no» definitivo, per alcuni giorni Onu, Belgrado e il governo di Pale si palleggiarono la responsabilità dello stop. Sta di fatto che papa Wojtyla riuscì a realizzare quella visita solo tre anni più tardi.
La stessa cosa si verificò nel dicembre del 1999. Ur, la città di Abramo, avrebbe dovuto essere la prima tappa del pellegrinaggio che Giovanni Paolo II voleva compiere ai “luoghi della salvezza” durante il Giubileo del Duemila. La data era già fissata, ed era tutto pronto, ma a pochi giorni dalla partenza tutto tornò in discussione per la forte contrarietà degli Stati Uniti.
Insomma, quando c'è di mezzo una guerra le cose diventano molto complicate. Tra l'altro nel caso dell'Ucraina si porrebbe il problema della necessità di un “passo” anche verso l'altro contendente, cioè la Russia. Nel 1982 papa Wojtyla stava per andare in visita nel Regno Unito mentre la flotta britannica era già in rotta verso le isole Falkland occupate dagli argentini, che ne rivendicavano la sovranità. Giovanni Paolo II, all'ultimo momento, fece aggiungere una tappa a Buenos Aires. Oggi aggiungere una tappa a Mosca appare altamente improbabile, se non impossibile. Ma forse quel “passo” potrebbe essere il nuovo incontro con il patriarca di Mosca Kirill, al quale Francesco, al rientro da Malta, ha detto di pensare «da tempo», e che «si sta lavorando a questo», e «si sta pensando di farlo in Medio Oriente».
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