domenica 18 dicembre 2016

Domenica scorsa per l’omelia, in una chiesa parigina di cui non dirò il nome, il prete è salito sul pulpito, un magnifico pulpito di legno intagliato e sormontato da un baldacchino in stile gotico. Un tempo l’officiante lasciava l’altare per solcare la navata e arrampicarsi in quella coffa come una vedetta in mezzo ai fedeli, indicando loro la terra o il cielo oltre la tempesta. Oggi, nella maggior parte delle parrocchie, la postazione è abbandonata ai ragni e alle tarme. Si può immaginare dunque che un tale rinnovamento potesse non dispiacermi. La circostanza del resto era particolarmente adatta: il vangelo era quello di Giovanni il Battista che si fa riconoscere come la vox clamantis in deserto. Mi aspettavo perciò di sentire la voce del prete echeggiare come quella del profeta sulle rive del Giordano. E invece che ha fatto costui? Ha parlato soavemente in un microfono. Anche lui. Come se fosse, non in cattedra, ma in uno studio televisivo. E, peggio ancora, le sue prime parole sono state di ringraziamento per la nuova amplificazione realizzata da Pekason audio systems, impresa specializzata in “Chiese e luoghi difficili” (perché, alle orecchie del tecnico del suono la Chiesa fa parte dei luoghi difficili, mentre una sala ovattata, senza risonanza, come un capannone rivestito di pannelli antirumore, è il luogo ideale). Ecco un tipico esempio di ciò che c’è di più deprimente nel tradizionalismo: la severità nervosa di una mano sotto il flusso della sorgente, la restaurazione di una forma svuotata della sua sostanza, la facciata barocca che nasconde una sottomissione incosciente al paradigma tecnico-economico. Certo, la cattedra possiede, anche nella sua spazialità, un valore di simbolo: è la montagna del sermone, una posizione di autorità che spinge il predicatore a guardare più in là della piccola morale verso il dramma delle beatitudini. Ma questo simbolo è anche un savoir-faire. Non separa lo spirituale dal materiale. Unisce la mistica e la tecnica, l’economia sacramentale e l’economia tout court. Tale è il senso profondo del romanico e del gotico. Ed è questo senso che è generalmente ignorato. Il pulpito, col suo stare nel mezzo, la sua altezza, il suo baldacchino, ma soprattutto la navata tutta intera a mo’ di cassa di risonanza, è precisamente un dispositivo che permette di essere sentiti senza ricorrere a un’amplificazione elettrica. L’amplificazione è garantita dall’ampio spazio tra le pietre, così che la voce del prete fa corpo con la chiesa, è riverberata dai suoi muri, servita di nuovo dalle sue volte. Che cosa c’è di più incarnato? L’architettura non è più uno spazio astratto dove ci si sistema: essa si fa coro, compie il servizio della parola, diventa la pelle del Battista che chiama alla conversione. Ora il tradizionalista (che è il contrario del tradizionale) mantiene l’uso del pulpito ma come immagine virtuale: ne disprezza la realtà fisica e resta persuaso che è ormai impossibile parlare senza microfono (cosa non del tutto falsa dal momento che egli vuole imballare la Buona Novella col tono dell’intimismo sentimentale o dello psicologismo che sussurra). Invece di usare la sua chiesa come megafono, acquista un amplificatore da 400 Watt con il modulo anti-larsen, altoparlanti direttivi da 30 a 120 Watt, secondo la misura, un microfono a collo di cigno MEX-1SW-450 e un microfono cardioide a condensatore MEL-P… La voce non grida più nel deserto: è un mormorio dopato dagli altoparlanti. Ora essa ha bisogno, più che dello Spirito Santo, della rete dell’Enel e della sua energia elettrica, la stessa che consuma il vicino supermercato. E siccome l’amplificazione elettroacustica entra in concorrenza con l’amplificazione naturale del luogo creando suoni parassiti, si rende necessario una regolazione della fase dei diffusori che fa strappare i capelli all’ingegnere del suono e la chiesa appare come un “luogo difficile” tanto che il tradizionalista si mette a desiderare una sala conferenze, per essere ascoltato meglio. Numerosi sono i dibattiti sulla liturgia, ma gli esperti hanno la tendenza a notare il moscerino e a ingoiare il cammello (Mt 23, 24). Hanno salvato i loro merletti e lasciato che la merlettaia si perdesse. Prestano attenzione all’amitto e poco importa se gli ornamenti sono fabbricati in Cina, se i ceri mettono in pericolo le api e se le ostie sono pressate da macchine tedesche – purché siano molto fini e bianchissime! Hanno custodito le apparenze e lasciato che la mercificazione li invadesse. Certo, come tutti gli apparecchi tecnologici, il microfono si è presentato come un ausilio, un aiuto, un mezzo neutro; ed ecco che tutto si è riconfigurato intorno a lui. Lo stile della celebrazione ne è risultato cambiato. Non si dice più veramente una messa solenne: si amplificano delle messe ordinarie. Non si proclama più il vangelo: lo si sussurra, si informa il pubblico, come alla radio. Il corpo del prete e della chiesa, col loro potere proprio e il loro savoir-faire immemorabile, diventano superflui: ora le macchine si incaricano di promuovere il messaggio. La voce che grida nel deserto è ancora nominata, ma si tratta di un codice nel sistema.

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