sabato 19 novembre 2022
La tentazione di “arruolare” il Papa a sostegno di una causa politica, a destra come a sinistra, è vecchia quanto la storia della Chiesa. È uno sport internazionale, e solo per farne un elenco striminzito non basterebbe una mezza enciclopedia; ma, sarà per una questione di vicinanza con la Santa Sede, noi italiani riusciamo sempre a distinguerci. E a eccellere. Qualche anno fa un leader di partito, per dare contro Papa Francesco a proposito di Islam e di migranti, dichiarò che «il mio Papa è Benedetto XVI», finendo anche per polemizzare con il direttore di questo giornale che, con molto garbo, gli aveva spiegato che non aveva capito niente, e che il magistero di Benedetto XVI e quello di Francesco (e di Giovanni XXIII, e di Paolo VI, e di Giovanni Paolo II) sono perfettamente sovrapponibili. L’ultimo esempio di questa particolarissima attitudine l’abbiamo visto in questi giorni, quando le parole di Francesco sul volo di ritorno dopo la visita in Bahrain, a proposito del fatto che sui migranti l’Europa debba farsi carico delle proprie responsabilità, e che l’Italia non può essere lasciata sola, sono state presentate come una “benedizione” alla linea dell’attuale Governo. Peccato che sia la stessa, identica cosa che Francesco ha detto in tante occasioni, compreso il suo discorso al Parlamento europeo nel 2014: «È necessario affrontare insieme la questione migratoria… L'Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti». La stessa cosa affermata da Benedetto XVI nel 2008: «I Paesi europei e comunque quelli meta di immigrazione sono, tra l'altro, chiamati a sviluppare di comune accordo iniziative e strutture sempre più adeguate alle necessità dei migranti irregolari». Lo stesso dicasi per il «diritto a non emigrare», affermato da Ratzinger nel 2012, e ribadito da Bergoglio lo scorso 29 settembre.
Ma questo, come ha detto Francesco domenica scorsa nell’omelia della Messa in occasione della seconda Giornata mondiale dei Poveri, non esime dal dovere di accoglienza, per i migranti e per tutti i poveri, perché da cristiani dobbiamo cogliere «l’opportunità che si nasconde in tutto ciò che ci capita, il bene che è possibile, quel poco di bene che sia possibile fare, e costruire anche a partire da situazioni negative». Perché «ogni crisi è una possibilità e offre occasioni di crescita… Mentre vedi attorno a te fatti sconvolgenti, mentre si sollevano guerre e conflitti, mentre accadono terremoti, carestie e pestilenze, tu che cosa fai, io che cosa faccio? Ti distrai per non pensarci? Ti diverti per non farti coinvolgere? Prendi la strada della mondanità, di non prendere in mano, non prendere a cuore queste situazioni drammatiche? Ti giri dall’altra parte per non vedere? Ti adegui, remissivo e rassegnato, a quello che capita? Oppure queste situazioni diventano occasioni per testimoniare il Vangelo?». Così «oggi ognuno di noi deve interrogarsi, davanti a tante calamità, davanti a questa terza guerra mondiale così crudele, davanti alla fame di tanti bambini, di tanta gente: io posso sprecare, sprecare i soldi, sprecare la mia vita, sprecare il senso della mia vita, senza prendere coraggio e andare avanti?». Di qui la necessità di far nostro «l’invito forte e chiaro del Vangelo a non lasciarci ingannare. Non diamo ascolto ai profeti di sventura; non facciamoci incantare dalle sirene del populismo, che strumentalizza i bisogni del popolo proponendo soluzioni troppo facili e sbrigative». © riproduzione riservata
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