giovedì 22 novembre 2018
Il secondogenito si era presentato lietamente al mondo a mezzogiorno di un Ferragosto inondato di sole. Appena l'infermiera voltò l'occhio, disubbidendo, mi alzai e andai a contemplarlo. Appoggiata al vetro della nursery lo osservavo in ogni particolare. Dormiva beatamente. Quanti capelli aveva, e il naso di mio padre. La linea della bocca di mio marito. Ed ero lì che guardavo mio figlio con la lente, ed ero, sì, anche un po' fiera di com'era forte, quando si accostò a me una signora anziana, con un ragazzino sui sette anni per mano. Mostrò al bambino, credo suo nipote, i neonati nelle culle. Gli indicò proprio il mio. «Lo vedi quello? Guarda com'è rosso in faccia, è appena nato. Tu pensa che cosa straordinaria: quel bambino nove mesi fa non c'era, non esisteva nulla di lui, e ora c'è».
Come avessi preso uno schiaffo. Ero davanti a un figlio come una bambina che ha una nuova bambola, e una sconosciuta mi ricordava la cosa fondamentale. Non c'era, e ora c'è. Nulla di lui al mondo, appena nove mesi fa: e ora vive, respira, il cuore batte. Sbalorditivo: da me era nato un uomo. E, certamente, non l'avevo “fatto” io. Zitta davanti alla nursery, ora, dentro a una verità che mi dava la vertigine. Grata alla sconosciuta che mi aveva mostrato l'essenziale - così spesso invisibile agli occhi.
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