sabato 17 febbraio 2018
Ogni volta che rivedo I quattrocento colpi di Francois Truffaut, oggi lo possono fare tutti in Rete, sento un colpo al cuore. È incredibile pensare alla data in cui uscì questa pellicola, il 1959, quando ad esempio, per dirne soltanto una, don Lorenzo Milani operava a Barbiana nel medesimo spirito pedagogico. Non c'è forse altro film che mi emozioni così tanto. Sarà perché la storia del piccolo Antoine Doinel, con la madre anaffettiva, il patrigno distratto, i professori incapaci, gli adulti egoisti, riassume tutti gli errori educativi che non si dovrebbero mai fare. Lo stile asciutto del regista contiene il tumulto sentimentale. La trama semplicissima del monello che scappa da scuola ha la forza della cronaca e la leggerezza della favola. È una delle opere più belle sul mistero e la dolcezza dell'adolescenza, intesa quale promessa infinita di un'umanità nuova. Sapere che lo straordinario protagonista, a quel tempo quasi un bambino, si legherà per sempre a Truffaut, diventando il suo attore feticcio, aggiunge ulteriore pathos. Ma ciò che soprattutto resta nella memoria, come una sigla lirica incancellabile, è la scena finale del ragazzo che, accompagnato dalla musica stupenda di Jean Constantin, corre lungo la spiaggia verso il sogno di una libertà impossibile da conquistare.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI