giovedì 6 ottobre 2005
Ciò che dovrebbe allarmarci non è tanto che 25 milioni di lettori in tutto il mondo si siano bevuti le storie del Codice da Vinci sulla Maddalena e sul concilio di Nicea. Ma che di quei 25, almeno 24 sapessero poco della Maddalena e quasi nulla di Nicea, offrendo memorie vergini alle spericolatezze esoteriche di Dan Brown. Non sono tra quei 25 milioni di lettori del ben noto romanzone dello scrittore americano, e non tanto per altezzosità intellettuale (anzi, avrei dovuto leggerlo accuratamente perché spesso mi si chiedeva il parere su quelle pagine), quanto piuttosto per la noia e lo scherno che affiorarono spontaneamente nella lettura delle prime cento pagine. D'altronde per sapere se il vino è buono o meno non è necessario bere l'intera botte che lo contiene. Ma la cosa più vera riguardante il Codice e le sue fanfaluche, per altro smentite da chi ha avuto più pazienza di me, è quella che sopra ha scritto Massimo Gramellini, un giornalista sempre vivace e incisivo. Egli ci riporta a un tema grave e greve, quello dell'ignoranza soprattutto religiosa. Qualche mese fa un sondaggio di Famiglia Cristiana ha impietosamente dimostrato che un quarto degli italiani ignora che i Vangeli siano quattro e una buona quota di essi è pronta ad attribuire a Napoleone il detto di Gesù: «Date a Cesare quel che è di Cesare"». La nostra storia e l'arte, che recano impressa la memoria del cristianesimo in modo strutturale e indelebile, risultano così incomprensibili. Purtroppo l'ignoranza è serena e ben pasciuta, altezzosa e autosufficiente, non conosce brividi o timori anche nell'ostentarsi. E questo accade - per i temi religiosi - a tutti i livelli, anche in quelli "colti""
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