giovedì 7 luglio 2005
Èun libro di cui più di un seme di pensiero è cresciuto nel cristianesimo" Vi si impara che per millenni su tutta la terra gli uomini sono sempre stati gli stessi. «Il tuo amico ha un amico, e l'amico del tuo amico un amico, sii dunque prudente nel parlare!», sta scritto. È un insegnamento valido per ogni tempo. C'è anche: «Nessuno può saltare la propria ombra", e ancora: "Sii calzato quando cammini sulle spine». Duecento anni fa, a Odense in Danimarca, nasceva Hans Christian Andersen da un padre ciabattino e da una madre lavandaia che finirà alcolizzata. È lo scrittore che ha accompagnato la nostra infanzia con le sue fiabe (chi non ricorda il "brutto anatroccolo"?). Noi abbiamo estratto un passo del suo breve e delizioso romanzo Peer Fortunato (Iperborea), di taglio autobiografico. Il maestro di musica del protagonista, un ebreo, gli parla del Talmud citando alcuni aforismi particolarmente vivaci. Noi fissiamo l'attenzione sul primo di questi detti, dedicato al rischio del parlare senza freno. Si è riuniti con un gruppo di amici e il discorso dilaga, sconfinando nella maldicenza. Si è convinti di poter procedere in libertà e, sull'onda di quel piacere sottile che è svelare segreti altrui o abbandonarsi alla critica degli assenti, non ci si accorge della trappola. Tra quegli amici ce n'è uno che è amico proprio di chi si sta colpendo con la mormorazione. Come è ovvio, non gli par vero di andare a riferire ciò che si è detto in quella riunione e così si ramificano le tensioni e persino gli odi. Ricordiamo, allora, la necessità della custodia della lingua sempre e dappertutto: «Dio ti ha dato due orecchie e una lingua, perché tu oda più che tu non parli», diceva san Bernardino da Siena.
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