martedì 8 marzo 2022
Le doglie sono cominciate ieri sera. M'aveva detto l'ostetrica di segnarmi ogni quanto tornavano. Dieci minuti di intervallo, otto, sette. Sempre più forti. È il mio primo figlio. Sono qui sola in un ospedale di Kiev, mio marito è a combattere. Tutto è stato così incredibile, in appena dieci giorni. E adesso, è arrivata l'ora.
Siamo in tante, in sala travaglio. Le grida delle partorienti lacerano l'aria. Sembra d'essere, anche qui, dentro a una battaglia. L'ostetrica mi insegna come respirare per dominare il dolore. Ora però è fortissimo. Una pausa, ritorna: mio Dio, adesso è intollerabile. Mi gridano: "Spinga!", io spingo, spingo con tutte le mie forze. Mi pare di morire. D'improvviso un vagito acuto taglia l'aria: Katerina è nata. Ride l'ostetrica, contenta: "Femmina!", e me la fa vedere. Ha gli occhi aperti, che begli occhi, grandi. Da fuori un'eco scura di esplosioni. Bombardano, di nuovo. L'ostetrica avvolge la bambina in un panno e scende di corsa nel rifugio. Poi portano giù anche me. La sala sotterranea piena di mamme e neonati sui materassi per terra sembra un grande nido.
Chiudo gli occhi, sfinita. Davvero, il parto è una battaglia. Grida, paura, sangue. Ma una battaglia per far vivere, non per far morire.
Katerina mi dorme addosso ora. Ignara. Candida. (Mi trafigge il pensiero che ogni uomo, anche quelli al Cremlino, è stato un giorno come lei è ora).
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