giovedì 6 aprile 2017
«Se Gesù è figlio di Dio e redentore del mondo, Giuda è l'universale onnipresente amico dal bacio. Perché colui che vedeva nel petto della gente i pensieri nuotare come pesci in un boccale, volle tenerselo accanto fino all'ultimo? Non aveva Gesù nemici a sufficienza? Perché Giuda era uno di noi». Uno di noi: è l'inizio folgorante del romanzo-confessione Giuda, pubblicato da Laterza nel 1938 e rilanciato da Jaca Book nel 1975, scritto da Lanza del Vasto. Fra le tante opere sulla figura del traditore per eccellenza, da Giuseppe Berto ad Amos Oz, quella di Lanza del Vasto si impone per franchezza e drammaticità. È un racconto che si svolge tra la terza e la prima persona ed è completamente dedicato al modo di ragionare del discepolo, che si allontana sempre più da quello del Maestro.
Ma prima di addentrarci nelle pieghe del libro, qualche parola va spesa sull'autore, che fu poeta, filosofo e teologo. E soprattutto apostolo della non violenza sulle orme di Gandhi, dal quale si recò nel 1937 e di cui divenne discepolo pur restando cristiano. Nato nel 1901 a San Vito dei Normanni da padre belga e madre siciliana, aveva studiato all'università di Pisa negli stessi anni di Aldo Capitini e nella città toscana, a 25 anni, si era convertito al cristianesimo (dopo essere stato ateo e razionalista), grazie alla lettura dei mistici Jan van Ruysbroeck e Nicola Cusano ma anche di Tommaso d'Aquino. Dai quali apprese una visione di «Dio come relazione, non come sostanza immobile».
Poi, come detto, il viaggio in India e la scelta radicale della non violenza, che lo porterà a girovagare per tutta l'Europa e a fondare la comunità dell'Arca, investito della missione di portare la Chiesa cattolica ad abbracciare questo ideale di pace. Tanto da farsi promotore di un appello durante il Vaticano II affinché si riconoscesse il valore della non violenza. E in qualche modo, soprattutto nella Pacem in terris, si può trovare traccia del suo insegnamento.
Il romanzo Giuda è ovviamente legato alla sua conversione. Giuda è convinto che «la prepotenza è il libero gioco della vita» e che in essa può trovare ben poco spazio l'amore di cui parla Gesù. Non condivide la comunione di vita che praticano gli apostoli, anzi «quello scambio amorevole pareva a Giuda un complotto per escluderlo». La sua adesione agli insegnamenti di Cristo si dimostra sempre di più di taglio intellettuale. Bene lo rimarca Jacques Maritain in una lettera scritta a Lanza del Vasto nel 1939: «È quasi impossibile mostrarci un Giuda più verosimile ed umano, quando fa mentire le verità stesse e spinge la sofisticazione spirituale fino ad un sorprendente grado di saggezza alla rovescia». A poco a poco cresce in Giuda un sentimento di infedeltà e cerca di convincere gli altri discepoli delle sue verità: si leggano al riguardo la disputa sulla Trinità o la sua esposizione di un concetto di Dio che mette insieme eresie di ogni tipo. Si fa forte della sua intelligenza, ma appena Gesù si mette in mezzo tutti i dubbi che Giuda aveva seminato nei cuori degli apostoli si dileguano.
Lo scontro col Maestro si fa sempre più evidente: preda delle sue seduzioni intellettuali, «Giuda era stato ingannato, defraudato, tradito. S'era dato a Gesù per qualche cosa che non aveva ricevuto». Né la potenza né la ricchezza e nemmeno i segreti che Gesù serbava nel cuore gli erano stati concessi. E nell'Ultima Cena, quando Gesù accenna al tradimento imminente, Giuda pensa: «Lo irrita che io abbia saputo liberarmi dal suo giogo». Le pagine finali del romanzo sono impressionanti e spazzano d'un colpo le peggiori tentazioni dell'intelligenza, per dirla ancora con Maritain. Il racconto della Passione di Cristo con Giuda che dice: «O amico un velo si è strappato e ti vedo. Vedo con orrore che ti amo»; o ancora quello del suicidio del traditore, che mentre si impicca grida: «Credo in te, solo in te, nero e tondo nulla!», ci lasciano sgomenti. Lanza del Vasto (che ci ha lasciato nel 1981) ha composto un'opera mirabile e spaventevole, che ancora continua a interrogare ciascuno di noi.
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