giovedì 16 giugno 2016
Un amico mi racconta che ha appena perduto suo padre. Gli faccio le condoglianze – quelle condoglianze, mi accorgo, educate e misurate che si fanno quando a perdere un genitore è un adulto. Quando la morte è nella natura delle cose, nell'ordine consueto della vita. Ma il mio amico ha bisogno di parlare: «Sai – mi dice – benché mio padre fosse così anziano, stento a capacitarmi che non ci sia più. Lo sentivo al telefono tutti i giorni. E ancora mi sorprendo a prendere il cellulare, a fare il suo numero; solo all'ultimo istante metto giù. È che in qualche modo, benché io abbia ormai quasi cinquant'anni, mi pare strano non essere più figlio. Non avere più addosso lo sguardo di un padre che si preoccupa per me».Annuisco, e capisco bene. Io mio padre l'ho perso che avevo trent'anni, e lui mi guardava ancora come una ragazzina. Da un giorno all'altro, di colpo, non ho avuto più davanti, discreta ma forte, quella protezione, quella sorta di diaframma fra me e la durezza della vita. Come, d'improvviso, trovarsi in prima linea. Si è più vecchi in un giorno, non essendo più figli.Anche io, e per mesi, mi sono ritrovata a fare sovrappensiero quel numero di telefono, e a mettere giù, ricordandomi, solo all'ultimo istante. E nonostante abbia visto mio padre nella gelida rigidità della morte, ci ho messo del tempo, dei mesi, per realizzare che era morto davvero. C'è stato come un parziale blackout della coscienza, per cui per un po' non ho capito veramente. Ho compreso, di colpo, un giorno che guidavo in autostrada: e solo allora mi sono messa a piangere, disperatamente, tanto da dovermi fermare. Allora è cominciato un inverno interiore. Io ero, dentro, come certi giorni di novembre, con gli alberi neri e spogli, e un cielo spento in cui sembra non dover mai più tornare il sole. Eppure, poco più di un anno dopo, ho deciso di sposarmi. Come sospinta da una forza grande, dalla corrente possente di un fiume. E ancora un anno dopo è nato il primo figlio. Me lo hanno messo in braccio e nei suoi occhi, già aperti, ho ritrovato il colore degli occhi di mio padre. Poi, era fulvo, Pietro, appena nato, di capelli. E io ho pensato a quel che mio padre mi diceva del nonno, che io non ho conosciuto: «Tuo nonno era rosso come un unno. Era il colore dei capelli dei Galli Boi, che un tempo invasero la pianura padana».Anche mio figlio, neonato, portava addosso quel rosso antico di barbari remoti. E mi è sembrato di sentire la carezza di qualcuno molto vicino a me, accanto, che mi dicesse: lo vedi, che non mi hai perduto? E la corrente del grande fiume della vita in quell'istante mi è parsa spingermi, più forte ancora, imperiosa. Come se mi venisse detto: vai, ora. Io ti sarò sempre accanto.
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