domenica 23 febbraio 2003
Nelle cose che dopo lungo desiderio si ottengono, non trovano quasi mai gli uomini né la giocondità né la felicità che prima avevano immaginato. Tempo fa ho avuto l'occasione di conoscere una signora fiorentina discendente diretta del famoso storico e politico Francesco Guicciardini (1483-1540). Ho, così, voluto rinverdire la memoria scolastica e ho scorso le sue opere più note, i Ricordi politici e civili e la Storia d'Italia. Sfogliando quest'ultima, ho trovato la considerazione sopra proposta e che, curiosamente, scopro essere presente anche nella commedia
La Mandragola del contemporaneo e concittadino Niccolò Machiavelli (1469-1527): «Non sai quanto poco bene si trova nelle cose che l'uomo desidera, rispetto a quello che l'uomo ha presupposto trovarvi?» (IV, 1). È, questa, un'esperienza che tutti abbiamo vissuto: abbiamo ardentemente desiderato conquistare una persona per la sua bellezza e poi l'abbiamo trovata vacua e scipita; abbiamo appassionatamente rincorso una carica e poi abbiamo scoperto quante spine avesse quel trono apparentemente dorato; abbiamo voluto a tutti i costi un oggetto, un bene, un possedimento e poi ci siamo ritrovati come il bambino stanco del giocattolo così ambito. Il disinganno e l'insoddisfazione legati al possesso sono la prova che l'uomo è fatto per qualcosa di più alto e di definitivo. Egli di sua natura tende all'infinito; «l'uomo supera infinitamente l'uomo», diceva Pascal. Il "desiderio" è qualcosa che scende de sideribus, dalle stelle, ed è alle stelle, cioè all'infinito e all'eterno che ci spinge, lasciandoci sempre l'amaro in bocca quanto ci perdiamo nelle cose.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: