giovedì 9 maggio 2019
Credo che ognuno di noi dipenda da ciò che una benedizione è in grado di mettere in moto. Poiché la vita è dono, e conferma reiterata di tale dono, possiamo dire che "in principio era la benedizione". Il tempo si sfatalizza quando lo sottraiamo all'ombra della maledizione e lo ricollochiamo nell'orbita della benedizione. Evocare la benedizione che riposa su di noi ci connette con quella verità più profonda che è il puro vincolo dell'ordine dell'essere, che perfora e relativizza le contingenze, le opacità, le contraddizioni, le deviazioni. Senza questo ancoraggio fiducioso alla radice dell'essere, all'architettura primaria di tutta la vita, non perveniamo a comprendere davvero lo sconvolgente mistero dell'esistenza stessa.
Possiamo benedire perché anche noi siamo una benedizione, siamo cioè protagonisti di una storia intessuta dall'amore e dal dono. Sappiamo benedire perché c'è un bene originario che alberga dentro di noi come nostra radice e nostro futuro. E questo patrimonio di benedizione tanto più si amplifica e rafforza quanto più lo spendiamo generosamente, benedicendo tutti attorno a noi. Ricordo l'antica benedizione irlandese che così recita: «Possa il cammino venirti incontro, possa il vento soffiare sempre alle tue spalle, possa il sole brillare caldo sul tuo volto, cada dolcemente la pioggia sui tuoi campi e, fino al nostro prossimo incontro, Dio ti conservi sul palmo delle sue mani».
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