mercoledì 17 ottobre 2007
C'è una particolare specie di creature umane che hanno il viso impenetrabile come acque di stagno. Esse oppongono un silenzio ostinato così che la gente attribuisca a loro saggezza, gravità e profondità di mistero. Sembra che dicano: io sono l'oracolo; se appena schiudo le labbra, non si sente un cane abbaiare. Sono reputati saggi solo perché non dicono nulla. Ma io sono certo che se parlassero, ben sfortunati sarebbero i loro ascoltatori!

Ho spesso preso di mira nelle mie riflessioni la chiacchiera sboccata, il profluvio di parole inconsistenti, l'ostentazione della vanità e ho non di rado esaltato il silenzio nobile, la meditazione pacata, la solitudine contemplativa. Questa volta vorrei dare un colpo di frusta anche al mutismo sprezzante, all'impenetrabilità altezzosa, al vuoto ammantato di solennità. È Shakespeare ad aiutarmi con questo passo sferzante del Mercante di Venezia. C'è un proverbio che dice: «Chi tace acconsente». In realtà il più delle volte bisognerebbe essere realistici e dichiarare: «Chi tace non dice niente».
C'è, infatti, un silenzio che è semplice assenza di idee, oppure è un sovrano disprezzo del pensiero altrui che, però, non si è in grado di contestare seriamente. Altre volte, invece, l'impenetrabilità è segno di una sorta di autismo spirituale: ci sono ragazzi (ma non solo) che comunicano solo con grugniti e che sembrano aver staccato il contatto con mondo, chiudendo le orecchie con gli auricolari delle loro musiche assordanti. Hanno calato una specie di visiera: sembrano essere rinserrati in un loro mondo, mentre in realtà si sono solo negati agli altri che temono o ignorano o rifiutano. Non tutti i silenzi sono profondi e gloriosi.
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