mercoledì 12 ottobre 2005
Felicità e vetro: come facilmente possono essere spezzati! Ieri abbiamo iniziato con un proverbio irlandese; oggi è la volta di un motto tedesco, lapidario nella sua formulazione e nella sua evidenza. Quanto è stato detto e scritto sulla felicità! Il fatto stesso che in italiano (ma non solo) abbia tanti sinonimi è già emblematico della sua complessità e fragilità: gioia, beatitudine, soddisfazione, delizia, piacere, esultanza, letizia, godimento, benessere, tripudio, giubilo, allegria e così via. Eppure, se analizziamo questi e altri vocaboli di "felicità" ci accorgiamo non solo che essi indicano delle esperienze non del tutto identiche ma anche delle sensazioni e dei sentimenti che hanno sempre in agguato
il loro contrario come infelicità, scontentezza, amarezza, tristezza, insoddisfazione, malinconia, dolore, afflizione, mestizia e altro ancora. Ecco, allora, la verità del proverbio tedesco che si affida all'immagine così pertinente del vetro: è trasparente, limpido, rispecchia, brilla ma basta una disattenzione o un piccolo ciottolo per ridurlo in schegge disperse per terra. Bisogna, dunque, custodire la gioia con cautela e premura. Essa non è genuina quando è eccessiva, pagliaccesca, esagerata, "caciarona" (come si dice a Roma). Lo scrittore francese ottocentesco René de Chateaubriand osservava che «la vera felicità è semplice e costa poco, ma è rarissima». Non la si può acquistare - al massimo si compra il piacere -, non la si ha ma vi si è, vivendo con noi stessi, con la nostra dimensione più profonda e spirituale. Proprio per questo è facile perderla, appena si esce in superficie e si diventa sbadati e grossolani, immaginando che essa sia fuori di noi stessi e nelle cose.
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