venerdì 21 giugno 2002
Dormono le cime dei monti/ e le vallate intorno, i declivi e i burroni./ Dormono i rettili, quanti nella specie/ la nera terra alleva,/ le fiere di selva, le varie forme di api,/ i mostri nel fondo cupo del mare./ Dormono le generazioni/ degli uccelli dalle lunghe ali. E così, ecco riaffiorata anche quest"anno l"estate, con le sue giornate assolate, con lo splendore dei suoi colori e con le notti trapuntate di stelle e con la luna che tra pochi giorni sarà nella pienezza del suo sfolgorare. Ritorniamo, allora, idealmente sui banchi di scuola, evocando una poesia antica. Sono pochi versi dedicati alla pace della notte, al velo del sonno che si distende sulla stessa natura oltre che su tutte le creature viventi. A dipingere questo silenzio e questa quiete è un poeta greco del VII sec. a.C., Alcmane, vissuto a Sparta come maestro di musica e di danza, e questo frammento è forse il testo più celebre delle sue poesie a noi giunte. Il sonno è, certo, segno di riposo e di pace e l"uomo, più ancora degli animali, ne sente la necessità anche perché consuma spesso la vita in una frenetica girandola di fatti e atti, di tensioni e reazioni. Ma sappiamo anche che in tutte le culture il sonno è un simbolo di morte: non per nulla chiamiamo il cimitero con questa parola di genesi greca che significa "il luogo del riposo, del giacere addormentati". Entrare stasera nel sonno potrebbe, perciò, essere l"occasione per riflettere qualche istante sull"approdo della nostra vita e quindi sul senso del nostro continuo agitarci, agire e parlare che consuma le ore del giorno. Pensare talvolta alla morte è una grande lezione di vita.
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