venerdì 23 gennaio 2004
Quando si sogna da soli, è solo un sogno. Quando si sogna tutti insieme, è il principio della realtà. È una lettrice a inviarmi questa frase di mons. Helder Camera, arcivescovo di Recife, ora scomparso, che molti ricordano per il strenuo impegno nei confronti dei poveri del Brasile e per la sua testimonianza evangelica di carità. Parlare di sogno è sempre un'operazione delicata perché nasconde in sé anche il rischio dell'illusione, dell'alienazione, dell'irrealtà. Tuttavia c'è una componente simbolica nel sogno che è assolutamente necessaria. «L'uomo che non è capace di sognare è un povero diavolo, è un eunuco», scriveva Thomas Borge. Sì, perché la persona che non è capace di grandi orizzonti, di progetti, di vaste prospettive, di ricerca oltre il piccolo cerchio dei propri interessi è una creatura misera e meschina. Si è celebrata la fine delle ideologie ma non ci si è accorti che, mentre esse morivano, si spegnevano anche i sogni, le attese forti, le speranze. Il cristianesimo è per eccellenza tensione verso il Regno di Dio, è quindi un'inquietudine per raggiungere un Oltre più alto, più luminoso, più giusto e più vero. C'è, però, una nota importante nelle parole di mons. Camara. Sognare da soli può essere alla fine velleitarismo o gioco di fantasia. Bisogna sognare insieme, cioè collaborare uniti a un progetto più grande: solo così il sogno diventa «principio della realtà». Si badi a questa espressione: siamo al "principio" non alla pienezza, perché l'attuazione di un grandioso disegno richiede lungo e severo impegno, esige quotidianità e realismo, sudore e fatica. Il vero sogno è impastato col lavoro di ogni giorno, umile e costante.
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