sabato 20 gennaio 2024
La signora B. era secca, i capelli grigi. Con lei, dicevano, non si scherzava. In camice bianco a passo marziale percorreva le sale della clinica Mangiagalli, ancora trent’anni fa. Aveva fatto nascere mezza Milano. Ero ancora in tempo, in quel settembre, per mettere al mondo il mio primo figlio con la signora B., Maestra Ostetrica, una leggenda. Arrivai a notte fonda, le doglie incalzavano. Mi squadrò. «Il primo, vero?», disse. Non sorrise. Non sorridono i sergenti, nel mandare i soldati all’attacco. E io non lo sapevo, ma il parto era una battaglia. Dura, sfinente: per fare vivere, non per far morire. La Sala Travaglio, il coro di lamenti nella notte. Io stranamente certa: avrei saputo partorire, come mia madre, come mia nonna. Di colpo, una doglia da mozzare il fiato. B., che passava: «Siamo solo all’inizio», senza fermarsi. Le grida acute, dalla Sala Parto. Credo d’aver rimosso le ultime ore, l’apice della lotta (l’oblio della natura, che vuole altri figli). Un ultimo, insopportabile momento. B. si affacciò: «Questo è un fisiologico», disse laconica, e andò oltre. Un parto fisiologico, niente di cui preoccuparsi. Tornò all’ultimo, brusca, urgente: «Respiri. Spinga. Più forte». Il primo vagito tagliò l’aria dell’alba. «Maschio!», gridò B., esultante, prendendo il bambino per i piedi. La vedo ancora. Sotto la maschera di sergente ad ogni figlio la Maestra Ostetrica era contenta, davvero. © riproduzione riservata
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