venerdì 9 febbraio 2007
Un rospo che vive in fondo a un pozzo giudica la vastità del cielo sulla base del bordo del pozzo. Leggo che questo è un proverbio mongolo, legato quindi a una cultura remota rispetto alla nostra, eppure testimone di una verità che tutti ci accomuna. Quel rospo che è laggiù nel fondo melmoso di un pozzo immagina il cielo solo coi contorni del bordo che da quel punto di vista riesce a intuire. È una lezione costante: per molte persone il loro angolo di visuale è l'unica possibilità di interpretare tutta la realtà. Nasce, così, una particolare ostinazione che si trasforma in supponenza: si diventa convinti che solo quella è la verità, opponendosi a ogni altra prospettiva. È per questo che la grettezza e la chiusura mentale diventano pericolose. Forse affermano un aspetto genuino della realtà ma ignorano che esso è parziale e che deve confrontarsi con altri punti di vista. Ma chi è così isolato nella sua autosufficienza non vuole uscire dal suo guscio, anzi, teme l'ampiezza degli orizzonti, come è attestato da coloro che ai nostri giorni hanno paura di tutto ciò che è diverso sia a livello etnico o sociale sia a livello religioso o culturale. Essi sono incapaci di dialogare con l'altro perché sospettano di perdere la loro fragile identità fatta di quel piccolo e quieto orizzonte, e non solo perché rigettano sempre e comunque chi è differente da loro. Ecco, allora, la necessità di non relegarsi in un pozzo e di non ridurre il cielo della verità a quel modesto cerchio che sta sopra la nostra testa. L'anima umana è come il vento che passa sopra le frontiere e corre verso i cieli, nella rincorsa dell'infinito.
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