Il miracolo della madre: dal dolore ecco la speranza
mercoledì 22 agosto 2018

Morgan Beck è una pallavolista americana, con un certo talento sia nell'indoor che nel beach volley. Un'atleta famosa e di successo, ma non certo quanto il marito, l'ex sciatore Bode Miller, campione olimpico e due volte vincitore della Coppa del Mondo, uno dei soli cinque uomini della storia capaci di vincere almeno in un'occasione in ciascuna delle cinque diverse discipline dello sci alpino. Questa coppia di atleti belli, ricchi, famosi è stata, nel giugno scorso, messa alla prova da un dolore inaudito, di quelli incomprensibili, che sembrano contro natura.

Nel corso di una festa di compleanno presso una villa di amici, in California, la loro piccola Emeline, 19 mesi, sfuggita per un attimo all'attenzione dei genitori, è caduta in piscina. È stato proprio il papà, Bode Miller, a recuperarla avendola trovata a galleggiare sull'acqua per tentare di salvarla dall'annegamento, purtroppo senza riuscirci. La mamma, Morgan, due mesi dopo quella tragedia ha deciso di pubblicare sul suo profilo Instagram una fotografia struggente, scattata chissà da chi, durante i minuti in cui medici e infermieri stavano tentando di salvare la piccola Emi.

Chi avesse visto quella fotografia può fermarsi qui, non servono altre parole, ma per coloro che non hanno avuto modo di vederla, provo a descriverla. Non posso che farlo riferendomi a un'opera d'arte certamente ben conosciuta: la Pietà di Michelangelo. Perché in quella fotografia si vede una donna, una madre, tenere fra le braccia e appoggiato sulle ginocchia, il corpo ormai senza vita della propria figlia. Entra nell'immagine, dall'angolo in alto a destra, una luce bianca, fortissima, che sovraespone il viso della mamma che, inclinato verso quel piccolo corpo, lo guarda come se stesse parlando. Lo sguardo è disperato, non ci sono altri aggettivi per descrivere i suoi occhi. La bimba è inerme, gli occhi chiusi, la testa abbandonata all'indietro. La vita se ne sta andando dal suo corpo, anche se tutto intorno qualcuno si affanna per provare a restituirle un respiro. Immaginate quello che un Michelangelo, poco più che ventenne, riuscì a scolpire nel marmo fissandolo per l'eternità, trasportato cinquecento anni dopo in una sala di un ospedale moderno. Sì, perché il corpo della piccola è completamente intubato, pieno di fili, elettrodi.

Le mani di un'infermiera stanno tentando di immettere aria nei suoi polmoni attraverso un palloncino blu, di quelli che si usano in rianimazione. Ci sono cinquecento anni di distanza fra l'immagine scolpita nel marmo e l'altra scattata con un telefonino nel giugno scorso da una persona che non sappiamo neppure chi sia. Eppure non c'è nulla di diverso. C'è lo stesso identico dolore, la stessa pietà, lo stesso significato, la stessa narrazione di quel significato.

Il giovane Michelangelo, scolpendo la sua Pietà, voleva senz'altro mostrare al mondo il proprio talento, ma altrettanto certamente voleva fissare in modo incancellabile il grido silenzioso di una madre che, contestualmente al proprio personale e indescrivibile dolore, vuole sussurrare a tutti noi un avvertimento e lo fa, semplicemente, con uno sguardo. Morgan Beck quel sussurro lo racconta in prima persona, nel commento che lei stessa pubblica, come se parlasse direttamente a sua figlia Emeline: «Vorrei poter avere un giorno in più per tenerti fra le mie braccia, ma fino a quel giorno continua ad aiutarmi e a darmi forza» e ancora: «Ti ho detto, stringendoti in quel momento, che avresti potuto ancora cambiare il mondo, che avresti potuto ancora spostare le montagne. Ora, ogni passo in avanti che facciamo è grazie a te e la tua impronta rimarrà per sempre su questo mondo».

Morgan Beck ha spiegato di aver voluto condividere quell'immagine per mettere in guardia tutti i genitori dal pericolo di annegamento, una delle più importanti cause di mortalità per i bambini fino ai due anni. Così distanti nel tempo, così lontane nella dignità artistica, così diverse eppure così uguali. Due immagini che raccontano il dolore di una madre che tiene fra le braccia un corpo che ha perso, sì, la vita, ma non la capacità «di cambiare il mondo» e «spostare le montagne». Una statua in marmo o una fotografia raccontano la stessa cosa: la forza di una madre che sa guardare oltre la propria sofferenza per metterla a disposizione di milioni di altre madri nel mondo perché il dolore più devastante che possa esistere, quello di perdere un figlio, se vissuto individualmente si trasforma in disperazione. Se messo in comune, se condiviso, in qualche miracoloso modo che solo le mamme conoscono, può diventare speranza.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: