venerdì 13 maggio 2005
Un giorno, mentre abba" Gerasimo passeggiava lungo il Giordano, gli si fece incontro un leone zoppicante perché era stato punto da una spina che aveva infettato la zampa. Nel vederlo, l"eremita si mise a sedere, gli prese la zampa e congedò il leone. Questo, però, non lo lasciò più e quando Gerasimo morì, si prostrò sulla sua tomba ruggendo e all"improvviso morì.
Questo "fioretto" è raccontato dallo scrittore e monaco bizantino Giovanni Mosco, morto a Roma nel 619, nella sua deliziosa opera intitolata Prato. Nelle memorie dei miei soggiorni in Terrasanta ho ancor vivo il ricordo di una sosta al monastero greco-ortodosso di s. Gerasimo, una fortezza isolata nella fossa del Giordano ove un tempo, come conferma anche il profeta Geremia, vivevano i leoni. La lezione di questo monaco " che, tra l"altro, si dice vivesse solo di eucaristia durante l"intera quaresima " va al di là del suo aspetto favolistico.Noi, infatti, non siamo più capaci  di vivere in armonia non solo col creato ma soprattutto con chi riteniamo come nemici. La spina che infetta il nostro avversario ci fa sottilmente godere perché così ci liberiamo di lui. Ci sembra utopistico quel monito di Cristo a fare del bene anche a chi ci vuol male. E così perdiamo l"occasione di ritrovare la serenità e persino la possibilità di scoprire un amico inatteso. È per questo che Isaia cantava l"era messianica come il tempo in cui lupo e agnello, vitello e leone, mucca e orsa pascoleranno insieme e il bambino giocherà con le vipere (11, 6-9). Sta anche a noi trasformare i leoni, ossia gli esseri brutali, in quella specie di gattone che Gerasimo tenne con sé per tutta la vita.
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