domenica 1 novembre 2020
Nel suo primo grande incontro con Gesù, Pietro gli dice: "Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore" (Lc 5,8). Tutti siamo feriti, esitanti, incompiuti. Ognuno di noi porta in sé una quantità incredibile di storture, di violenza interiore più o meno diffusa o concentrata, una fragilità sempre presente. E i meccanismi di autodifesa e di colpevolizzazione non fanno che isolarci ancor di più. Ma la santità, spiegherà Gesù a Pietro, non è l'impeccabilità, bensì il movimento profondo dentro di noi che ci fa volgere verso un altro, verso il Tutt'Altro, e che si lascia attraversare da un'esperienza di riconoscimento e misericordia, come la vetrata nella penombra della cattedrale che si lascia attraversare dalla luce. Per questo la nostra richiesta dovrà essere piuttosto: "Signore, avvicinati a me, perché sono un peccatore" - osando quella forma necessaria e rara di audacia che è la fede.
Il Nuovo Testamento ce lo insegna in molti modi: la santità non è una formula o una teoria. La santità è l'esposizione radicale a Gesù di ciò che noi siamo. In realtà, è la santità di Dio che, in Gesù Cristo, ci raggiunge, e in una maniera reale e incarnata. Per questo, una delle preghiere evangeliche più belle è quella di una donna anonima che andava ripetendo in cuore: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello!…" (Mt 9,21).
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