martedì 4 marzo 2003
Il gatto è un leone quando prende un topo. Ma il gatto diventa un topo quando lotta con la pantera. Del Golestân, cioè del "roseto" di Sa'dî (1184-1291), straordinaria figura di poeta e sapiente persiano, esiste dal 1991 una bella traduzione italiana commentata da Cherubino M. Guzzetti, edita dalla San Paolo. Dal proemio di quest'opera che intreccia parabole, massime, versi e meditazione abbiamo estratto una nota vivace e mordace. Essa non fa che riprendere simbolicamente un detto popolare che è comune anche da noi: «forte coi deboli e debole coi forti». È l'atteggiamento che, in modo vergognoso, un po' tutti qualche volta in vita abbiamo praticato: implacabili coi deboli e con chi consideriamo a noi inferiore, proni e venerabondi di fronte ai potenti o davanti a colui dal quale ci aspettiamo una carica, un premio, un vantaggio. C'è nel fondo di tutti una punta di codardia e di violenza. Mi viene in mente il motto latino che un vecchio professore di lettere classiche mi aveva ripetuto durante un incontro: In praetoriis leones, in castris lepores, leoni quando sono a palazzo, lepri quando sono nel campo di battaglia (se ben ricordo, era stato un romano delle Gallie, Sidonio Apollinare del V sec., un politico diventato vescovo, a coniare questa battuta). La tentazione della prevaricazione spesso nasconde una buona dose di viltà. Ritrovare il rispetto della dignità di ogni persona, prescindendo dalla sua potenza o debolezza, dal suo statuto sociale, è una lezione di vita sempre necessaria, soprattutto in questi giorni in cui domina la legge del successo e delle apparenze.
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