sabato 12 febbraio 2011
In generale ho notato che il degrado è molto più rapido del progresso. E per di più, se il progresso ha dei limiti, il degrado è illimitato.

La fiducia nel progresso è stata non di rado sbandierata come un'insegna destinata a illuminare la via della modernità. E questa è una convinzione che ha una sua verità, anche religiosa: la stessa fede biblica è scandita, da un lato, dal messianismo che è attesa di un salvatore e, d'altro lato, dall'escatologia che è speranza in una piena salvezza finale, posta a suggello della storia. Non si può, però, ignorare che c'è un progresso solo apparente, come ironizzava il filosofo francese Henri Bergson: «L'umanità geme, per metà schiacciata sotto il peso dei progressi che ha fatto». In verità, in molti "progressi" scientifici o sociali si annida una sorta di veleno, un peccato d'origine che li ribalta in degrado spirituale e in degenerazione morale.
Acquista, allora, valore l'osservazione di un autore russo del secolo scorso, Sergej Dovlatov, che si affaccia sul nadir infernale verso cui spesso l'umanità si sente attratta. Questo abisso sembra essere senza fondo, segnato com'è da gironi di perversione sempre più cupi. Quasi ogni giorno sui giornali si scoprono delitti di volta in volta più efferati; si assiste a una decadenza dello stesso stile di vita; si scoprono forme nuove di avvilimento della dignità umana, di abbrutimento e di abiezione. Certo, l'uomo è un microcosmo, un piccolo mondo di meraviglie. Ma, come altre volte abbiamo avuto occasione di dire, non aveva torto il Mefistofele del Faust di Goethe che considerava la creatura umana un kleine Narrenwelt, un microcosmo di follia. Eppure la stessa libertà che ci fa decadere ci può far ascendere verso l'alto; abbrutirsi non è l'unico destino umano, ma anche il riabilitarsi, l'elevarsi, il nobilitarsi.
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