sabato 11 agosto 2007
Siamo troppo attaccati allo scoglio, alle nostre sicurezze, alle lusinghe gratificanti del passato. Ci piace la tana. Ci attira l'intimità del nido. Ci terrorizza l'idea di rompere gli ormeggi, di spiegare le vele, di avventurarci in mare aperto. Se non la palude, ci piace lo stagno.
Molti di coloro che oggi mi leggono sono davanti a un mare aperto; la risacca batte sugli scogli o si infrange in mille ripetizioni sul litorale. Forse è questo l'orizzonte a cui pensava l'indimenticato monsignor Tonino Bello, anche perché la sua sede episcopale, Molfetta, si affaccia sul mare. Sono stato varie volte in quella città e ho sostato in quel porto ove sono stati celebrati i suoi funerali, davanti allo stupendo Duomo vecchio. Evoco ora " attraverso queste immagini marine " una sua pagina che denunciava «il complesso dell'ostrica», un rischio non solo psicologico ma anche ecclesiale.
Talora, infatti, entrando in certi gruppi o comunità, sembra quasi di avvertire subito un'aria viziata, una mancanza di respiro. Certo, l'ambiente asfittico ti rende meno agitato e teso, ti avvolge come un grembo protetto e ti fa cadere a terra in un apparente riposo. Ma è solo il risultato di un'assenza d'ossigeno spirituale, che rende inerti. È l'essere come immersi in uno stagno ove non si può nuotare e navigare. La vera spiritualità è, invece, ricerca e cammino, è fremito e attesa, è freschezza di vita e passione del cuore. Purtroppo, però, continuava don Tonino, noi nell'itinerario dell'anima, «appena trovata una piazzola libera, ci stabilizziamo nel ristagno delle nostre abitudini, dei nostri comodi». E si spegne in noi l'ansia della pienezza e dell'infinito.
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