giovedì 19 settembre 2002
Non importa nascere in un pollaio, quando si ha poi la fortuna di diventare un cigno. Finisce così una fiaba che abbiamo ascoltato da bambini, quella del "brutto anatroccolo" di Hans Christian Andersen (1805-1875). Il mistero di una vita è racchiuso nello scrigno di Dio: si può partire dalla debolezza e dalla miseria e ascendere verso orizzonti gloriosi di creatività e di successo. Noi, però, oggi non vorremmo fermarci su questa dinamica affatto scontata nel suo esito positivo. Spostiamo cioè l'accento su un altro fatto, piuttosto amaro. Se è vero che ogni creatura ha in sé un seme di grandezza, è certamente un impoverimento dell'umanità la miseria e l'ingiustizia sociale che impedisce a quel seme di crescere in albero di vita, ma anche ciò che interrompe all'origine. Il pensiero corre, certo, a tutti gli aborti che cancellano una ricchezza incalcolabile proprio nel suo sbocciare. Tertulliano diceva che «è già uomo colui che uomo sarà». Il salmista invoca Dio: «Ancora embrione mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era già scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno» (130, 16). Ma pensiamo anche a tutti i bambini che ogni giorno muoiono di fame, inaridendo così l'umanità che potrebbe salvarli, se solo non volesse scoppiare di cibo o dissipare immense risorse in armamenti. Per stare all'immagine di Andersen, sono tanti i cigni mancati che nel mondo non riescono a sopravvivere. «Prega per noi ora e nell'ora della nostra nascita», o Maria (Th. S. Eliot).
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