mercoledì 14 febbraio 2007
Si è soliti dire che la storia è il breviario dei re. Dal modo con cui i re governano, si vede bene che il loro breviario non serve a nulla.Era un aristocratico e il suo nome intero era Louis de Rouvroy de Saint-Simon, nato a Parigi nel 1675, ostile al re Sole Luigi XIV e morto nella capitale nel 1755. Queste sono forse le parole più citate delle sue ormai dimenticate Mémoires. Esse dicono  una verità indiscutibile che smentisce il celebre motto latino della storia come magistra vitae, verità che vale non solo per i re ma anche per la più modesta esperienza di tanti sudditi. Anche il nostro poeta Eugenio Montale pessimisticamente nella sua Satura (1971) affermava: «La storia non è magistra di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve a farla più vera e più giusta».I cinesi definiscono l"esperienza come «il pettine che la natura dà ai calvi», proclamandone in tal modo l"inutilità. Nelle  pagine del breviario della storia umana ci sono già tutti i comportamenti da adottare per condurre una vita giusta, ma quelle pagine rimangono spesso sigillate o sfogliate di mala voglia. Un altro e più importante personaggio francese, il conte di Tocqueville (1805-1859), in una delle sue opere più note, L"Ancien Régime e la rivoluzione, annotava che «la storia è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e molte copie». Bisogna, però, aggiungere che spesso le copie non solo imitano i peggiori originali ma anche risultano ulteriormente peggiorate e degradate. Per tutti, allora, risuona il monito di san Paolo - contro ogni deriva verso l"imitazione del male sia pure abbellito esteriormente - a seguire «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode» (Filippesi 4, 8).
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