sabato 20 ottobre 2018
Nel 2008 il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz e la professoressa di Harvard Linda Bilmes pubblicarono un libro dal titolo “The Three Trillion Dollar War”. In quella cifra in sé spaventosa i due economisti americani calcolavano i costi diretti e indiretti sostenuti dagli Stati Uniti fino a quel momento per la guerra in Iraq. Lo studio sollevò mille polemiche, tra cui anche quelle di chi si chiedeva – a ragione – che cosa si sarebbe potuto ottenere, nello stesso tempo e nella stessa area geografica, investendo solo un terzo di quella cifra in sviluppo.
La legittimità di quella domanda è tornata in mente all'inizio di questa settimana, leggendo quanto Papa Francesco ha scritto nel suo Messaggio per la giornata mondiale dell'alimentazione. Nel quale, una volta di più, torna a ribadire che «è imprescindibile comprendere che, quando si tratta di affrontare efficacemente le cause della fame, non saranno le solenni dichiarazioni ad estirpare definitivamente questo flagello». E che «la lotta contro la fame reclama imperiosamente un generoso finanziamento, l'abolizione delle barriere commerciali e, soprattutto, l'incremento della resilienza di fronte al cambiamento climatico, le crisi economiche e i conflitti bellici». Da quando Paolo VI lanciò la campagna contro la fame in India, non si contano le volte in cui la Chiesa e i vescovi di Roma hanno posto il mondo davanti alla vergogna della morte per fame di milioni di esseri umani. Giovanni Paolo II ha dedicato a questa battaglia centinaia di documenti e di discorsi, additando come guerre e mercato delle armi siano i veri nemici da abbattere per superare questo problema. E Benedetto XVI, parlando a Westminster Hall nel corso del suo viaggio in Gran Bretagna del 2010, usò parole fulminanti per stigmatizzare l'atteggiamento dei paesi ricchi riguardo a tale questione: «È stato incoraggiante, negli ultimi anni, notare i segni positivi di una crescita della solidarietà verso i poveri che riguarda tutto il mondo. Ma per tradurre questa solidarietà in azione effettiva c'è bisogno di idee nuove, che migliorino le condizioni di vita in aree importanti quali la produzione del cibo, la pulizia dell'acqua, la creazione di posti di lavoro, la formazione, l'aiuto alle famiglie, specialmente dei migranti, e i servizi sanitari di base. Quando è in gioco la vita umana, il tempo si fa sempre breve: in verità, il mondo è stato testimone delle vaste risorse che i governi sono in grado di raccogliere per salvare istituzioni finanziarie ritenute “troppo grandi per fallire”. Certamente lo sviluppo integrale dei popoli della terra non è meno importante: è un'impresa degna dell'attenzione del mondo, veramente “troppo grande per fallire”».
Sulla stessa lunghezza d'onda, e con la stessa fulminante, concreta lucidità, oggi papa Francesco ci esorta a «dare impulso, con chiarezza, convinzione e tenacia, a processi prolungati nel tempo», perché «il futuro non abita sulle nuvole, ma si costruisce suscitando e accompagnando processi di maggiore umanizzazione». Certamente, aggiunge, «possiamo sognare un futuro senza fame», ma «ciò è legittimo solo se ci impegniamo in processi tangibili, in relazioni vitali, piani operativi e impegni reali». I poveri, infatti, «non possono aspettare. La loro situazione calamitosa non lo permette». Non possono, soprattutto, attendere i comodi dei politici, «tante volte immersi solo negli interessi elettorali o intrappolati da opinioni distorte, perentorie o riduttive» mancano di «determinazione» e «volontà», finendo così con il provocare «enormi ostacoli nella soluzione dei problemi, con barriere ineluttabili frutto di indecisioni o ritardi».
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