mercoledì 28 aprile 2004
Non viviamo abbastanza per approfittare dei nostri errori. Ne commettiamo per tutto il corso della vita, e tutto ciò che possiamo fare a forza di errori è morire corretti.Era il 1688 quando il precettore del duca di Borbone, il filosofo moralista Jean La Bruyère pubblicò l'opera che l'avrebbe reso famoso, I caratteri, una serie di massime e di brevi ritratti destinati ad analizzare i vari comportamenti umani. Da quei detti estraggo oggi questa pennellata sull'errore. Anche chi ignora il latino conosce il motto Errare humanum est, diabolicum est perseverare. Eppure è un po' questo il succo della storia universale e personale. Per tutto il corso della vita accumuliamo errori, ma per ostinazione o per orgoglio ci guardiamo bene dal riconoscerli e quindi dall'emendarci. Alla fine a purificarci saranno proprio tutte quelle amare conseguenze che la nostra pertinacia avrà attirato su di noi e, così, come ironizza La Bruyère, moriremo finalmente "corretti".Certo, è vero che sbagliare è umano, come dice la sapienza popolare del detto citato, e che solo gli imbecilli non sbagliano mai. Anche Goethe nel Faust riconosceva che «l'uomo erra finché cerca» e cercare è segno di vita e di intelligenza. Ma ciò che è detestabile è l'ingenuità di voler nascondere il proprio errore o l'incapacità di resipiscenza. In ultima analisi è l'assenza di umiltà a far sì che l'errore si stagli ben solido e anzi si riproduca. Spesso ci brucia l'anima non per aver commesso uno sbaglio ma perché esso è stato scoperto e non vogliamo riconoscerlo. Ecco, allora, le patetiche autodifese che ci arroccano nell'ostinazione, invece del semplice e modesto atto del Salmista: «Ho detto: Confesserò al Signore le mie colpe!» (32, 5).
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