giovedì 5 ottobre 2006
L'avere più ingegno del comune è sempre una grande colpa agli occhi dei mediocri. Leggo questa citazione del giornalista Mario Missiroli, che fu direttore del Corriere della Sera negli anni Cinquanta del secolo scorso, in un articolo dedicato da uno storico a una grande figura di uomo e di religioso, il barnabita p. Giovanni Semeria (1867-1931). La grettezza di alcuni uomini di Chiesa lo costrinse, infatti, all'esilio e a una vita tormentata e spesso umiliata. Sì, la mediocrità alligna dappertutto, nella società civile e anche in quella ecclesiastica, nelle famiglie e nelle comunità, negli ambienti di lavoro e di studio. La caratteristica fondamentale di questo difetto è la gelosia sfrenata, l'invidia per tutto ciò che sta sopra il suo livello di basso profilo. Ed ecco, allora, scatenarsi non tanto il confronto chiaro e netto (il mediocre sa che alla luce della verità soccomberebbe) ma la sottile erosione della dignità dell'altro, l'uso ipocrita del giudizio, l'adozione colpevole della calunnia, il ricorso alla manovra, la coalizione con altri mediocri, la frenetica ricerca di ogni occasione per far cadere chi è superiore per intelligenza, umanità o capacità. Si potrebbe a lungo descrivere il ritratto del mediocre, nemico di ogni ingegno, di ogni grandezza, di ogni libertà di spirito. Ma ognuno deve riconoscere - a prescindere dalle doti che possiede - che un germe di questa malattia, purtroppo non riconosciuta come tale ma sovente esaltata come buon senso ed equilibrio, alligna sempre nell'anima ed esige il coraggio di strapparla senza tante storie e giustificazioni falsamente religiose e moralistiche.
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