I giocattoli Baudelaire e il futuro dei bimbi
venerdì 6 settembre 2019
È stato recentemente ripubblicato, in un volumetto con testo francese a fronte, cura e introduzione di Giovanni Santambrogio, un noto e singolare saggio che Charles Baudelaire pubblicò nel 1853, Morale del giocattolo (La Vita Felice, pagine 70, euro 8). Si tratta di una dozzina di pagine che vengono ora proposte all'attenzione del lettore, non tanto perché Baudelaire è uno dei grandi classici della poesia e della critica moderne, quanto per il suo argomento, solo in apparenza marginale. Il curatore ha infatti accluso in appendice pagine sullo stesso argomento di Carlo Collodi, Bruno Bettelheim, Roland Barthes, Philippe Ariès, Gianni Rodari e Giampaolo Dossena.
Il giocattolo, i giocattoli sono infatti protagonisti dell'infanzia da quando l'umanità esiste, ma da un paio di decenni (come troppe altre cose della storia e dell'antropologia umana) sono in via di sparizione. Parlare del giocattolo vuol dire parlare di infanzia, di morale, di psicologia, di origine e formazione del nostro rapporto fisico e mentale con la realtà esterna.
Morale del giocattolo viene comunemente definito un saggio sul paradiso perduto dell'infanzia. Baudelaire sa di essere «terribilmente infantile» e di essere un artista proprio per questo: l'artista è un bambino con il cervello analitico e la volontà strutturata di un adulto. Il poeta ricorda il giorno in cui una ricca signora, che lui chiama «la Fata del balocco», lo condusse in una camera incantata strapiena di giocattoli per regalargliene uno. Un negozio di giocattoli, dice Baudelaire, è un mondo a sé, un mondo «in miniatura», che contiene tutta la vita «molto più colorata, più pulita e lucente». Per questo «il giocattolo è la prima iniziazione del bambino all'arte», poiché ogni bambino ha bisogno di sorprendersi e di scoprire, di agire su un oggetto e di sognare con un oggetto in mano, studiandolo e usandolo: «Il bambino gira, rigira il suo giocattolo, lo gratta, lo scuote, lo sbatte contro i muri, lo butta per terra (…) infine lo apre con tutta la forza che ha. Ma dov'è l'anima? Qui cominciano lo stordimento e la tristezza». Rotto l'involucro, infranta la forma, l'anima del giocattolo sparisce, non c'è. Era nelle sue superfici sensibili, visibili e tangibili…
Non vanno commiserati quei bambini a cui oggi i genitori non danno in mano giocattoli ma giochetti elettronici? Il povero bambino è ipnotizzato da immagini in movimento senza che lui possa e debba mai toccarle. Invece che mettere in contatto con la realtà e nello stesso tempo con l'immaginazione, il videogioco derealizza la realtà e disattiva l'immaginazione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: