domenica 26 marzo 2006
Il califfo Harun el-Rashid, trovandosi un giorno nella città di Rey, vide un tale che spacciava rimedi per tutti i mali. Di fronte a questo reagì esclamando: «Non credevo che nel mio regno si potesse uccidere impunemente!». Siamo nel VII sec., agli esordi dell'Islam, e la storia del califfato è spesso costellata di aneddoti riguardanti questo personaggio che amava travestirsi da semplice cittadino per andare a sentire il polso della società. Questa piccola parabola vuole evidentemente colpire una malattia sociale fin troppo coccolata anche ai nostri giorni, quella della ciarlataneria. Basta solo aprire la televisione di notte per incrociare gente che ha come missione (ben retribuita) l'inganno: maghi, "maestri", cartomanti, astrologhi e così via si contendono bacini enormi di stupidità e, purtroppo, anche di miserie e sofferenze, pronte a protendersi verso qualsiasi illusione. A quelli che riescono ad essere finalmente trascinati in tribunale si sostituiscono subito altri cialtroni e filibustieri ed è veramente ironico che giornali che si dichiarano altezzosamente "laici" e "illuministi" o "razionali" riservino spazio a quella buffonata che è l'oroscopo. Si pone, comunque, la necessità di evitare confusioni, in modo rigoroso, tra magia e fede, tra superstizione e devozione, tra illusione e speranza. In questa linea è rischioso indulgere a dimensioni troppo sentimentali o folcloristiche della religione, nella stessa maniera in cui si deve distinguere il (per altro rarissimo) "miracolo" da pratiche di guaritori e da rituali oracolari, destinati a turlupinare persone disperate. Ritorniamo, allora, alla serietà della scienza e alla purezza della religione, evitando di ricorrere a surrogati che rovinano spesso non solo l'anima ma anche la stessa esistenza concreta di chi vi si affida.
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