giovedì 12 dicembre 2019
Il primo ad accorgersi che in me ci fosse qualcosa di serio è stato Ettore. Parlo del cane di casa, un bassotto a pelo ruvido colore "foglia secca". Sta con noi da quando è nato. Io in realtà non volevo un cane, ma con tre donne in casa di parere opposto era una battaglia persa in partenza. Le mie figlie l'hanno allevato come un peluche e lui, giustamente, da peluche si comporta, passando le sue giornate trascinandosi da un divano a una poltrona. Cresciuto nella casa di una famiglia di formidabili lettori, dove i libri traboccano ovunque, s'è adeguato. Lui, i libri, li divora. S'è mangiato due Bibbie, un'enciclopedia e diversi titoli sparsi, pur se, parlando di carta, la sua preferenza va sempre ai fazzoletti, più sporchi sono meglio è. Dovrebbe, per questioni di salute, stare a dieta, e noi ce lo teniamo, ma ogni volta che ci apprestiamo a mangiare ci viene vicino e, in equilibrio sulle zampe posteriori con l'aiuto della coda, assume l'espressione del bassotto denutrito. Qualcuno che ci casca lo trova sempre. In compenso, se quando i piatti sono a tavola ci distraiamo, è un attimo: si siede composto su una sedia e fa razzia. Polpettoni, pane, frittate, pesce, dolci, è onnivoro. Esce tre volte al giorno, unici momenti in cui il cane da caccia che abita in lui viene fuori. Si infila ovunque alla ricerca di qualunque cosa sia commestibile, tirando il guinzaglio con una forza insospettabile, al punto che dicevo che il suo sogno, da grande, fosse di fare il cane da slitta. Fin quando lavoravo era mio appannaggio la passeggiata del mattino e, se non uscivo tardi dalla redazione, quella notturna. Andato in pensione il problema non s'è più posto, e ho vinto d'ufficio tutte le sue uscite. Passeggiate lunghe, al punto che spesso il cellulare squillava e sentivo "ma siete vivi?".

Questo dunque è Ettore, il primo ad accorgersi che in me c'era qualcosa che non andava. Diversi mesi prima che mi venisse diagnosticata la Sla, durante le nostre passeggiate aveva smesso di tirare, e trotterellava piano al mio fianco. Quelle tre o quattro volte che, all'improvviso e senza alcuna ragione sono caduto perdendo il guinzaglio, invece di allontanarsi di una decina di metri e poi aspettarmi – era il nostro gioco preferito – si avvicinava a me e mi dava colpetti col muso, "dai forza, alzati"; e rientrati a casa non strattonava più per liberarsi del collare, ma aspettava paziente che le mie mani già troppo deboli avessero ragione del moschettone di plastica. Oggi passa le sue giornate sempre accanto a me, va dove vado io, non mi molla un secondo, e quasi sempre dorme sotto il mio letto, proprio sotto di me. Non sono mai stato un animalista, e non lo sarò mai, ma guai a chi mi tocca Ettore.
(27-Avvenire.it/rubriche/slalom)
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