venerdì 14 dicembre 2007
È assurdo comportarsi secondo un'unica rigida regola su ciò che andrebbe conservato e su ciò che bisognerebbe scartare, perché il più della cultura moderna dipende proprio dagli scarti.
Non c'è bisogno di toccare il tasto dolente, soprattutto nel nostro Mezzogiorno, riguardante il problema dei rifiuti. È indubbio, comunque, che siamo immersi in una società dei consumi e degli sprechi che genera un'abnorme massa di scarti, capaci di assediare proprio chi li produce rendendo la vita difficile. Ma la considerazione sopra desunta dallo scrittore inglese Oscar Wilde va in un'altra direzione e assegna un valore un po' ironico e un po' positivo allo «scarto», inteso in senso metafisico. Dicevo ironico, perché
- secondo l'autore citato - la nostra società purtroppo si regge spesso su veri e propri cascami intellettuali, spirituali e umani: si va alla ricerca di ciò che una volta si buttava via senza tante storie, si pesca nel torbido e nello stravagante, si ama l'eccesso ignorando la sobrietà che è appunto eliminazione del superfluo e del vano.
Ma l'annotazione di Wilde potrebbe persino avere una coloritura religiosa, se pensiamo all'atteggiamento di Cristo che ricorre agli «scarti» umani di peccatori, di poveri, di modesti lavoratori, di donne umiliate per costituire il suo ideale uditorio. San Paolo non esiterà a scrivere che «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ciò che debole per confondere i forti, ciò che è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre al nulla le cose che sono» (1 Corinzi 1, 27-28). Le selezioni degli spettacoli premiano i soliti dotati di bellezza esteriore e benessere, ma poveri di valori umani; il cristianesimo seleziona gli emarginati della società per trasformarli negli uomini e donne delle beatitudini.
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