venerdì 25 giugno 2021
«“Ma, permettetemi di chiedervi”, disse Manilov: “come desiderate comprare i contadini, con la terra, o semplicemente per portarli via, cioè senza la terra?”. “No, non è che io voglia avere dei contadini”, disse Cicikov, “io vorrei avere i morti (…) intendo acquistare i morti che, però, dal censimento risultano vivi”». L'estro anarchico e lirico di Gogol raggiunge un apice nelle Anime morte. La sua capacità di schizzi d'assurdo sulle pagine, traccia segni indelebili e inquietanti, nella mente dei lettori. Nella Russia della metà dell'Ottocento, i servi della gleba erano innumerevoli e un tutt'uno con la terra dei padroni. Persone come zolle. Era difficile che il proprietario sapesse quanti ne morissero, come rivela Manilov allo strano compratore d'anime: «Ma come si fa a dire quanti? Davvero non si sa quanti ne sono morti: nessuno li ha contati». Orrore e assurdità che fan pensare che le anime morte non fossero solo quelle della gleba ma pure quelle di chi mercanteggiava, a cuor leggero, sulla loro pelle. Maree d'umanità che ancora s'agitano sui campi del mondo. Tra loro anche i braccianti che, oggi, in Italia, vengono detti “invisibili”, operai senza diritti né contratti, volti senza nome in cerca di chi gli restituisca un'anima vivente.
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