Gesù chiama per nome donandoci la vita
giovedì 27 aprile 2023

IV Domenica di Pasqua Anno A

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. (...)

Per me, una delle frasi più solari del Vangelo, dove appoggio la mia fede, che mi rigenera ogni volta che l’ascolto: sono venuto perché abbiano la vita; è venuto per la mia vita piena, abbondante, gioiosa. Non per quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma quella esuberante, eccessiva, che rompe gli argini e tracima, scialo di libertà e coraggio.

La parola “vita” lega insieme tutta la Scrittura; è supplica nei Salmi: fa’ che io viva! Fammi camminare sui campi della vita! Giona si adira con Dio perché, invece di distruggere Ninive, è pastore per i centoventimila della città che non distinguono la destra dalla sinistra. Il primo di tutti i comandamenti, quello che introduce l’intera sezione della legge è: « Hai davanti a te la vita e la morte. Scegli! ». E intende: scegli la vita! Vita è tutto ciò che possiamo pensare per riempire questo nome. È proprio la piccola parola “vita” a rendere inconciliabili il pastore e il ladro.

Il pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome.

L’eccedenza di Dio. Quale pastore ha dato un nome a tutte le pecore? Ad alcune sì, magari a molte, ma le centinaia di pecore del suo gregge, chi può distinguerle e ricordarle?

Chi perde tempo a recitare ogni mattina tutta la litania dei loro nomi, anziché un solo fischio o un richiamo unico per tutte?

Ma è proprio scritto così: le chiama ciascuna per nome. Per noi il gregge è anonimato, fine dell’identità, omologazione.

Per Gesù, no: mi da tempo, dice il mio nome, gli sto a cuore, non mi confonde con nessun’altro.

E le conduce fuori. Anzi, «le spinge fuori». Non in un altro recinto magari più grande, ma fuori per spazi aperti.

Io sono la porta. Non eleva muri o steccati a dividere; Cristo è passaggio, apertura, pasqua, breccia di luce, vita che entra ed esce. Pastore pieno di futuro, porta dell’amore leale e sicuro ( chi entra attraverso di me si troverà in salvo), più forte di ogni prigione ( potrà entrare e uscire), dove placare la fame e la sete della storia ( troverà pascolo).

E cammina davanti alle pecore.

Pastore apripista, che non sta alle spalle a richiamare e ad agitare il bastone, non è un cane da pastore che deve tenere in riga le pecore. Non gli interessa.

Le pecore stanno in riga perché intravedono davanti uno di cui hanno fiducia, vedono la strada che fa, sanno che è sicura, sanno che in fondo a quella fila c’è profumo di vita.

E Gesù si definisce come porta: non un muro, o un vecchio recinto, dove giri e rigiri e torni sui giri di prima, non un guinzaglio, né corto né lungo.

Cristo è porta aperta, buco nella rete, breccia nel muro, passaggio, transito, spazio per il cuore, per cui va e viene il respiro di terra e cieli nuovi.

(Letture: Atti 2,14a.36-41; Salmo 22; prima Lettera di Pietro 2,20b-25; Giovanni 10,110)

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