domenica 2 marzo 2003
Il "mio" e il "tuo", queste fredde parole che introducono nel mondo infinite guerre, non sono altro che parole prive di fondamento reale. Se dici che la casa è tua, dici parole inconsistenti perché l'aria, la terra, la materia sono del Creatore, come pure tu che l'hai costruita, e così tutto il resto. Era il grande san Giovanni Crisostomo a predicare in questi termini ai suoi fedeli invitandoli alla condivisione dei beni nella convinzione che, antecedente alla proprietà privata, è la destinazione universale del creato. E continuava: «Se la terra è un possesso comune, come mai tu hai tanti e tanti ettari, mentre il tuo vicino non ha neppure un pugno di terra? Mi dirai: È stato mio padre a lasciarmela! E io ti dico: E lui, da chi l'aveva ricevuta? Dai suoi antenati"». Ma alla radice ultima chi c'è? «Non è forse del Signore la terra e quanto contiene?» Il cristianesimo, perciò, non propone un pauperismo masochistico, rigoristico, punitivo, autoflagellante: vuole, invece, che la consapevolezza dell'aver ricevuto diventi sorgente di condivisione e di dono, perché - come affermava un altro autore cristiano, Lattanzio - «Dio ci diede la terra in comune perché gli uomini vivessero in comunità». In un tempo dominato dall'egoismo, dal possesso sfacciato e ostentato, riscopriamo la gioia del dare, la libertà del gratuito, la generosità dell'amore. Un antico scritto cristiano, la Didascalia degli apostoli, raccomandava: «Vescovi e diaconi, abbiate cura dell'altare di Cristo, cioè delle vedove e degli orfani». E sant'Ambrogio: «La terra è di tutti, non solo dei ricchi" Quando tu dai del tuo al povero, gli restituisci il suo!».
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