domenica 31 dicembre 2017
IPedag sono legati a un'antica profezia: una donna deve partorire un bambino che li strapperà alla dura condizione umana e li condurrà a un regno di felicità. Sarà chiamato “Consigliere-ammirabile”, ma nessun segno particolare lo distinguerà degli altri. Raggiunta l'età della ragione, il cielo e la terra si metteranno a obbedirgli come marionette e non ci saranno più la morte, la sofferenza e l'ingiustizia – il mondo sarà un lecca-lecca, la vita una grande gioco di acchiapparello, per divertirsi. «Basterebbe un nonnulla, dicono gli anziani della tribù, e il lupo capirebbe che c'è più piacere nel saltar la cavallina che nel divorarla. Basterebbe un nonnulla e i morti ci spiegherebbero che stanno solo giocando a nascondino». Questo nonnulla, secondo loro, è lo spirito dell'infanzia e la vera difficoltà dell'educazione sta nel lasciare l'infanzia a se stessa, lasciarla maturare senza perdersi, svilupparsi senza essere dislocata dalle categorie dell'età adulta che separano il serio e il faceto, il reale e l'immaginario…
Ecco perché i bambini Pedag sono insopportabili piccole pesti. Sono permessi loro tutti i capricci, mentre venti nutrici ansiose tentano di interpretare le urla dispotiche del nuovo possibile “consigliere ammirabile” e si considerano fortunate quando il piccolino fa la pipì sulle loro mani. Gli stessi anziani pronunciano le loro sagge sentenze mentre sono continuamente spintonati da ragazzini impudenti e sporchi. Questi ultimi li pizzicottano, li schiaffeggiano, li graffiano, si arrampicano su di loro, ed essi oppongono solamente uno sguardo di indulgenza, e più che di indulgenza di nostalgica invidia. Qui, crescere è percepito come un cedimento. I Pedag credono che l'adulto sia un bambino diminuito, i cui
progressi in termini di lucidità e responsabilità sono piuttosto discutibili. A partire da una certa soglia, il lato ironico della crescita è ben mostrato dall'osservazione degli animali. I loro piccoli sono tutti carini («coccolini» direbbe mia nipote), mentre la bestia adulta è pesante, chiusa, quasi assente. Tra il maialino e il vecchio grosso maiale, l'agnello pazzerello e la pecora ordinata, la giovenca balzellante e la mucca ruminante, il gattino che gioca con un raggio di sole e il micione che digerisce immobile vicino al fuoco, non c'è sviluppo ma catastrofe, perdita della freschezza e della semplice gioia di esistere. Bisogna ammetterlo: l'aurora è ricca di promesse che il giorno non riesce a mantenere. Chine sulla culla vediamo delle buone fatine; attorno alla sede societaria vediamo soltanto colleghi che cercano di mettersi in mostra agli occhi dell'executive manager. Difficile credere che si tratti semplicemente della stessa persona che è cresciuta. Il neonato prometteva di essere un giovane dio e invece ecco solamente un adolescente con l'acne e poi un funzionario dell'agenzia delle entrate. I Pedag ce l'hanno con lui per questo tradimento. Tutte le batoste che hanno risparmiato all'eventuale piccolo messia restano accumulate sulla sua testa. Appena supera i tredici anni si abbattono bruscamente su di lui, più improvvise di una doccia glaciale, più crudeli dei carboni ardenti. Il cielo e la terra non gli ubbidiranno mai, è sicuro ormai (i suoi primi foruncoli lo provano, o le mestruazioni se si tratta di una ragazza). Delle cure divine, del mistico lassismo di cui si lo è circondato, egli ha approfittato vilmente per diventare un odioso piccolo teppista. Tanto i bambini sono adorati dunque, tanto gli adolescenti sono odiati. E se i primi sono incoraggiati nella loro sfrontatezza, (forse trasgrediscono le regole elementari per inaugurare il mondo trasfigurato) i secondi sono puniti al più piccolo errore con una violenza inaudita, commisurata alla licenza accordata in precedenza. Gli anziani si incaricano della correzione con piacere. Essi stessi furono bambini viziati, poi adolescenti picchiati, infine adulti nevrotici. Che felicità, dopo tutto questo, poter infine accedere allo status di venerabili perversi! Si possono ben sopportare le irriverenze dei piccoli se si hanno tutti i diritti di brutalizzare i più grandi. E così credono di esercitare una giustizia perfetta riproducendo l'ingiustizia subita. La memoria della loro adolescenza li conferma del resto nell'idea che l'infanzia è un paradiso e la maturazione una caduta. Ho visto un ragazzo di quindici anni frustato quasi a morte. Aveva ricevuto 33 colpi e ne doveva ricevere altri 33 (il numero 66 ha, secondo le tavolette sacre, particolari virtù di riparazione). Mi interposi dignitosamente tra lui e la frusta dell'anziano. Beninteso, ero pronto ad ammettere che gli adolescenti erano esseri particolarmente apatici e sgradevoli, ma non si poteva maltrattarli dicendo che era a causa loro, della loro mancanza di fedeltà allo slancio iniziale della loro nascita, che la condizione umana non poteva uscire dal suo disordine. Protestai allo stesso modo quando un ragazzino mi tirò una pietra fangosa in pieno volto, e siccome la mia arcata sopraccigliare si era messa a sanguinare pensai a cosa sarebbe diventato più tardi. Che cosa accadrebbe se, all'età di quindici anni, non si opponesse un ostacolo alla sua irriverenza? Saccheggerebbe, violenterebbe, massacrerebbe senza il minimo rimorso. Mi scostai dunque, la mano sulla tempia, e invitai l'anziano a riprendere i suoi colpi. Lo esortai anche a non indebolirsi, tanto ero preoccupato dell'avvenire del ragazzo. A farci espellere dai Pedag non furono i miei sforzi per spiegare loro il vero senso della Natività. Fratel Ugo aveva ancora una volta adoperato un metodo un po' forte. I piccoli che avevano fatto esplodere il suo rosario il giorno del nostro arrivo dovevano ritrovarne tutti i grani e riportarglieli: a chi non ottemperava, uno schiaffone e minaccia di una sculacciata più potente a chi si fosse lamentato presso un anziano. Cosa che non fu senza efficacia. In una settimana, aveva ricostituito la sua corona con l'eccezione di un grosso grano di Padre Nostro che era sparito irrimediabilmente durante una partita a biglie. Ma un piccolo, neanche il più insolente, aveva finito per denunciarlo. Il fatto era grave. Fratel Ugo aveva forse soffocato sul nascere la vocazione di un messia. Dovevamo partire, altrimenti saremmo stati consegnati con mani e piedi e legati a una muta di cinquanta mascalzoni di sette anni o anche meno. Eravamo diventati piuttosto ermetici allo spirito dell'infanzia.
(17, continua. Traduzione di Ugo Moschella)
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