sabato 30 luglio 2005
Le piante del botanico non sono i fiori del campo; le sorgenti di un fiume stabilite geograficamente non sono la polla del terreno" Se ci si ferma alla mera utilizzabilità, la natura resta incomprensibile come ciò che vive e ci assale e ci emoziona nel paesaggio. Siamo ormai entrati nei flussi migratori delle ferie: i telegiornali ne sono lo specchio coi loro servizi, identici ogni anno, simili a laiche litanie fatte di partenze intelligenti, di mete turistiche, di code chilometriche e, purtroppo, di bilanci di morti e feriti. Quanti di questi vacanzieri sapranno ritrovare la bellezza della natura, il fascino del silenzio, l'armonia della contemplazione? Ho citato un passo di un'opera ardua, Essere e tempo (1927), di un filosofo arduo, il tedesco Martin Heidegger. Per fortuna questa sua annotazione è semplice e può adattarsi e trasformarsi in un invito a un mutamento di mentalità. Il botanico classifica i vegetali con rigore secondo le loro caratteristiche; il geografo appunta su una mappa i corsi d'acqua; il commerciante di frutta e verdura si preoccupa della qualità e dei prezzi e così via. C'è un atteggiamento, pur necessario, che si ferma alla «mera utilizzabilità» delle cose e questa attitudine utilitaristica regge giustamente la maggior parte delle nostre azioni durante l'anno. Ma la realtà stessa e la persona umana per fortuna non sono solo questo: sono anche bellezza, amore, fascino, poesia, fede. Guai a perdere questa capacità e a rendere sterile la mente e arido il cuore. Almeno in questi giorni di sosta sapremo riconoscere l'incanto dei fiori e dell'acqua che scorre?
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