
La Bibbia è piena di pasti, a volte persino festini: bisogna dunque mangiare bene per essere felici? Non a qualsiasi condizione, dice Gesù, che raccomanda a chi dà un banchetto di non invitare i familiari né i vicini ricchi: potrebbero restituirgli la cortesia. «Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti» (Lc 14,13-14). La felicità non sta quindi nella refezione, ma nel distacco da ogni interesse personale, nel dono che non si aspetta niente in cambio.
Proprio niente? Se ci aspettiamo di essere ricompensati, anche se in cielo, il nostro è ancora disinteresse? Dobbiamo capire bene questa beatitudine: Gesù non ci dice che in paradiso ci attendono tutti i pasti che abbiamo offerto e per i quali non abbiamo ricevuto inviti in contraccambio. Sarebbe un paradiso contabile e pure indigesto. La felicità di cui Gesù parla è tutt’altro: è la convinzione che nel frequentare i poveri, gli storpi e i ciechi è Dio stesso che noi riceviamo, invitiamo, frequentiamo. È lui che impariamo a conoscere e ad amare. Ed è l’intimità con lui, fonte infinita di gioia, che cresce in noi, fin dentro la vita eterna.
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