giovedì 6 giugno 2019
Come per tutte le coppie, il matrimonio tra due credenti parte dall'incontro tra un uomo e una donna che si innamorano e decidono di cominciare una vita insieme. Ma chi decide di sposarsi in Chiesa condivide in più l'ideale del "per sempre", e immagina un amore che diventerà sempre più solido e porterà a costruire una famiglia serena e ricca di vita. Troppo spesso, però, la realtà si incarica di introdurre variabili non previste che trasformano il cammino in un percorso a ostacoli: a volte sono le difficoltà economiche, altre la necessità, legata al lavoro, di allontanarsi troppo l'uno dall'altra; e quando arrivano i figli, anche desiderati, c'è spesso il trovarsi schiacciati in ritmi che non permettono più di stare insieme con serenità e trasformano la quotidianità in un continuo affanno.
Gli sposi si trovano allora assorbiti ciascuno dall'urgenza del compito individuale e talvolta arrivano a sperimentare un crescente senso di scollamento e di estraneità. La delusione si fa palpabile. Qual è il senso di tanta fatica, nella quale ognuno pensa di portare il peso più grosso, nella quale ciascuno si sente incompreso dall'altro, poco amato e poco riconosciuto? Il progetto originario con la sua prospettiva di gioia sembra essersi perduto, per lasciare il posto a vissuti di fatica, solitudine e talvolta anche rancore. E anche la fede vacilla: perché Dio non mantiene la sua promessa di felicità?
È il momento della crisi, nella quale sembra di avere sbagliato tutto: il compagno/a di vita, la scelta del matrimonio, persino l'aver messo al mondo dei figli che ora sembrano inesorabilmente legarci a qualcuno che ci appare così lontano. Che senso ha continuare? La presenza di figli che entrambi amiamo e che ci amano è un richiamo forte alla responsabilità adulta e costituisce spesso la vera remora all'idea di una separazione. Ma rimane il dubbio bruciante: "Devo decidere come donna (uomo) o come madre (padre)?". Rispondendo all'appello della responsabilità, rimane nel cuore la paura che il nostro futuro personale di uomo o di donna non sarà più un futuro felice e questo comporta un intollerabile senso di ingiustizia e di ribellione. Certo, non si può "stare insieme solo per i figli"; è possibile però ripartire da loro che, con la loro fiducia in noi, sono sempre un motivo forte, concreto e molto reale per non abbandonare la scena prima del tempo. Separarsi infatti non è solo rompere di comune accordo il patto individuale tra un uomo e una donna; significa anche distruggere il mondo complesso e originale che abbiamo costruito nel tempo, fatto di un infinito numero di cose piccole e grandi: beni concreti come la nostra casa o i nostri legami, e beni simbolici come le abitudini, i valori, i rituali, i pensieri, i modi di dire e di essere, che sono specifici e unici della nostra famiglia. Questo è il mondo dei nostri figli, un mondo che la separazione manda irrimediabilmente in frantumi.
Continuare a credere nelle potenzialità del matrimonio quando se ne sperimenta la fatica sembra oggi una cosa impossibile, ma è proprio su questa questione che si gioca concretamente la nostra fede, cioè la fiducia nella presenza reale di Dio nella nostra vita. Siamo chiamati a riscoprire nell'altro (proprio lui: quel marito, quella moglie) la persona "unica" che il Signore ha misteriosamente scelto insieme a noi e per noi. Con la sua differenza, con i suoi difetti e con i suoi limiti, è proprio lui infatti che ha in mano la chiave perché la nostra vita si realizzi a pieno, anche attraverso le molte contraddizioni che incontriamo e che ci sfidano a cercare nuovi adattamenti, nuove risorse interiori, nuove competenze relazionali. Si può dunque provare a rilanciare: non per accettare con rassegnazione masochistica una storia finita, ma usando fantasia e creatività per dare alla nostra storia d'amore una nuova opportunità. Spesso scopriremo allora in modo tangibile una verità importante: che non ci si pente mai di avere continuato a volere bene.
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