sabato 29 luglio 2006
Ciò che rende lieta la vita non è fare le cose che ci piacciono, ma trovare piacere nelle cose che dobbiamo fare. La immaginiamo, come dice l'evangelista Luca (10, 40), «tutta presa dai molti servizi» a causa della presenza a mensa di un così illustre ospite. Oggi, però, pensiamo a s. Marta, festeggiata in questa data dal calendario, per un suo aspetto non esplicitato dai Vangeli: forse era così coinvolta nelle faccende, perché a lei quel lavoro piaceva. Certo, il racconto evangelico ha un'altra finalità che, però, non è così lontana dalla nostra considerazione sostenuta dalla citazione, sopra proposta, di una delle tante Massime e riflessioni del grande poeta tedesco Goethe. Nel lavoro - dice Gesù - bisogna non lasciarsi totalmente irretire dall'azione, ma tenere
sempre un varco aperto per l'ascolto della voce divina, come fa appunto Maria. Ebbene, Marta aveva esagerato con quell'essere «tutta presa» dal suo lavoro, ma certamente in esso metteva un germe di passione e di amore e questo è un seme che trasfigura il puro e semplice fare. Fortunati coloro che nel loro agire riescono a deporvi questa scintilla di gioia, di partecipazione, di creatività perché è solo così che il fare diventa umano e non è più una mera produzione. Alcuni sognano professioni ai loro occhi esaltanti, senza vederne le difficoltà nascoste dalle apparenze, e quindi maledicono l'impegno che hanno di fronte, rendendolo in tal modo più gravoso. E invece «l'amare il proprio lavoro - scriveva Primo Levi nel romanzo La chiave a stella (1978) - è la migliore approssimazione concreta della felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti riconoscono».
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