sabato 28 dicembre 2019
Ho scoperto di fare parte di una Terf Block List: per i non-addetti, una lista nera internazionale che elenca le cosiddette Gender Critical, altrimenti dette Trans-Escludenti. Qui non ho spazio sufficiente a raccontare nel dettaglio di tutti quei giorni, di tutte quelle notti che ho passato insieme alle persone T e al loro movimento (il Mit) per sostenere il diritto a una vita meno dolorosa che comprendesse la possibilità di cambiare il nome sui documenti dopo la transizione chirurgica. Ero ancora una bambina. La legge 164/82 è frutto di queste lotte, compresa la mia. Quindi mettiamola così: di fronte all'accusa di Terfismo mi faccio una bella risata. Appurato che non sono Terf, qualche puntino sulle i. La disforia di genere - assicuro - non è una condizione invidiabile: potendo scegliere, è senz'altro meglio sentirsi bene nel proprio corpo di nascita, fatto salvo il diritto a non rassegnarsi agli stereotipi di genere. Oggi invece il Transcult indica l'identità T come paradigma dell'umano, come condizione altamente desiderabile, come modello di ogni libertà dell'individuo sciolto da ogni limite. Il Transcult pretende cioè che la condizione T - percentualmente marginale - occupi il centro della scena umana. Ma questo non può essere, e per il bene di tutti. A cominciare da quello delle persone T, in prima fila a rischiare il rebound, il ricominciare della sofferenza.
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