giovedì 29 febbraio 2024
Mentre scrivo non so a quanti anni Alessandro Impagnatiello, 30 anni, assassino della fidanzata Giulia e del bambino che da lei attendeva, sia stato condannato. Ma ogni volta che la sua faccia torna sui tg, sento il bussare di una domanda sbalordita: come è stato possibile. Via Manzoni, Hotel Armani, dove Milano luccica e i soldi scivolano via come gli aperitivi, all’ora dell’happy hour. Dietro al bancone quel ragazzo, begli occhi, bel sorriso. Porge un calice colmo a un cliente. Accento napoletano, simpatico, le mance dei clienti generose. Un lavoro sicuro, una fidanzata, un figlio in arrivo. Tutto. Da dicembre, secondo gli inquirenti, l’avvelenava con il topicida. «Che strano sapore ha quest’acqua», diceva Giulia. Topicida: inimmaginabile. Per lei e per Thiago, il figlio nel grembo. Veleno, in silenzio. Poi come in una deflagrazione, un giorno, 37 coltellate. Non è facile infliggere 37 coltellate, bisogna avere dentro una rabbia orrenda. Perché? Perché si era innamorato di un’altra? Assurdo. Una tale violenza non mi riesce spiegabile. Un narcisista, hanno detto, uno che vede solo sé stesso. Può darsi. Eppure, continuo a non capire. Quando ripassa sullo schermo quel sorriso franco, quel calice offerto come nello spot di un aperitivo, bussa la mia domanda: perché un tale male. Come poteva sorridere così e avvelenare la sua donna, il suo bambino? Senza parole davanti a un male inconcepibile. 30 anni, un ragazzo. La sua faccia, un mistero che non so affrontare. © riproduzione riservata
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