sabato 8 ottobre 2011
Domani, e domani, e domani, / striscia a passi lenti il tempo che ci è assegnato / di giorno in giorno fino alla sua sillaba estrema.

Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow…: lenta ma implacabile come una colata di lava avanza il fiume del tempo che ci è stato prescritto. La sua corrente trascina con sé ore e giorni, spesso simili a scatole vuote, che vagolano alla deriva verso l'estuario finale. Sembra tanto lunga la distesa di quei «domani, e domani, e domani» da permetterci di non badare al loro uso e consumo. E così, all'improvviso ci resta tra le mani solo the last syllable, la sillaba estrema del discorso della vita. C'è stato qualche teologo che ha pensato che Dio ci permette con quell'ultima parola di ribaltare il nostro destino, concedendoci una suprema istanza d'appello. Ma è anche necessario non sfidare quel Dio che pure ci ha donato tanti «domani», quando saremo giunti all'«oggi» definitivo senza più «domani» della nostra fine.
Non abbiamo ancora detto chi sia l'autore della nostra citazione odierna. Forse molti l'hanno già individuato: è il grande Shakespeare dell'indimenticabile Macbeth (V,5,19-21), ove impera la terribile moglie del generale del re di Scozia, Lady Macbeth, colei che in un crescendo di odio e di sangue saprà, sì, colmare i suoi giorni, ma che alla fine si troverà davanti alla «sillaba estrema» del rendiconto con la sua coscienza e precipiterà nel suicidio. «Sempre il puzzo del sangue! E tutte le essenze d'Arabia non riusciranno più a profumare questa piccola mano!» (V, 1). Raccogliamo l'invito del poeta a non lasciar scorrere nel vuoto o, peggio, nel male il fiume della vita fino a the last syllable.
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