sabato 9 marzo 2019
Esiste una ricetta per la santità? Una qualche formula magica che possa aiutarci a raggiungere quella che è la meta di ogni credente? In termini assoluti, ovviamente, la risposta è "no", la vita di fede non è la cucina di Masterchef, dove mescolare ad arte gli ingredienti assicura il risultato. Però un segreto per muoversi in quella direzione riducendo le sbandate c'è, una "dritta" che può farci da bussola: «Amore, gioia, sobrietà: tre parole per la santità di ogni giorno».
Papa Francesco l'ha ricordato di recente nella prefazione che ha scritto a un libro pubblicato dalla editrice vaticana, Prendi un po' di vino con moderazione: La sobrietà cristiana, che ripropone un'omelia di Giovanni Crisostomo. Accogliere il «dono gratuito» dell'amore di Dio, osserva il pontefice, «cambia la vita e soprattutto trasforma lo sguardo sulla vita, su noi stessi, sugli altri, sul presente, sul passato e soprattutto sul tempo che ci attende: l'amore grande con il quale siamo amati si manifesta come quella luce calda e forte che riveste di sé la vita, la realtà, le relazioni. Come in un giorno di sole la natura, e perfino le nostre città, diventano più belle, così la fede e l'accoglienza dell'amore del Signore svelano quanto ogni dettaglio della nostra esistenza sia prezioso, unico, irripetibile, nonostante i problemi, le difficoltà e le nostre incoerenze».
È «anche per questo», spiega, che la sua esortazione apostolica sulla santità comincia con questo l'invito, preso dal Vangelo di Matteo, Gaudete et exsultate: «La gioia, che è certamente diversa dall'euforia, è il sentimento di un cuore bagnato dall'amore – anche in mezzo alle prove della vita – ed è uno dei tratti autentici della vera santità, quella anche della persona "della porta accanto». È una gioia autentica, semplice, che permette di gustare le opportunità di bene che la vita ci offre, che si manifesta tra l'altro anche in un buon pasto condiviso, in uno sguardo di comprensione e sostegno e – perché no? – in un brindisi per una ricorrenza o un traguardo di un amico... Mi riferisco a quella gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa, perché "si è più beati nel dare che nel ricevere". L'amore fraterno moltiplica la nostra capacità di gioia, poiché ci rende capaci di gioire del bene degli altri».
Insieme a questa gioia, una «grazia vera e propria che va custodita e protetta», san Giovanni Crisostomo ci insegna «che la creazione è buona ma va saputa gustare, per scoprire che è stata fatta proprio per noi, per il nostro bene, come un dono prezioso, affinché ci scopriamo amati e possiamo gioire insieme... La sobrietà, dunque, e la gioia, sono due atteggiamenti che credo possano aiutarci a vivere la quaresima in vista della Pasqua, che è proprio la celebrazione della nostra risurrezione con Cristo, la nostra vita nuova, celebrata una volta per sempre nel battesimo, eppure rinnovata in particolare in ogni Veglia Pasquale. Che cos'è infatti la vita di Cristo in noi se non una vittoria dell'amore sulle nostre paure e preoccupazioni per noi stessi, che ci permette a nostra volta di essere dono, semplice e quotidiano, nelle piccole cose, per il Signore e per i fratelli?». E, in conclusione, cita un passo della Gaudete et exsultate: «La comunità che custodisce i piccoli particolari dell'amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre». Una "dritta" preziosa per camminare ogni giorno sulla strada della santità.
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