Chi non cerca scuse trova anche l'oro
mercoledì 12 dicembre 2018
Harrison Dillard ha novantacinque anni ed è il più anziano campione olimpico vivente. Anzi pluricampione, visto che in curriculum ha la bellezza di quattro medaglie d'oro ai Giochi. Dillard era, al termine della Seconda guerra mondiale, senza dubbio il più grande specialista nei 110 ostacoli, dove era arrivato a totalizzare oltre 100 vittorie consecutive. Tuttavia la spietata follia dei trials, le gare in cui, negli Usa, ci si gioca la carta olimpica in un solo giorno, lo aveva fatto inciampare su una barriera e lo aveva escluso dalla partecipazione ai Giochi di Londra 1948.
Dillard non perse neanche un secondo del suo tempo a disperarsi, a imprecare contro sfortuna o regole ottuse. Si iscrisse, in quegli stessi trials, a una gara per lui inedita: i 100 metri. Arrivò terzo (e ultimo qualificato) e si conquistò il diritto di andare ai Giochi dove vinse, in quella specialità, l'oro olimpico nel modo più emozionante, grazie al primo utilizzo della storia del photo finish. Completò la spedizione con la staffetta 4x100 con la quale vinse il suo secondo oro. Quattro anni dopo, a Helsinki, ristabilì una sorta di giustizia sportiva, vincendo i "suoi" 110 ostacoli e replicando il successo con la staffetta veloce americana. Dillard è, tutt'ora, l'unico uomo al mondo ad aver vinto una gara di velocità e quella a ostacoli ai Giochi. Quella barriera che lo aveva buttato giù ai trials si era trasformata nell'occasione per poter scrivere, per sempre, la storia.
Il discobolo Al Oerter, raccolse l'eredità di Dillard, vincendo anche lui quattro medaglie d'oro olimpiche, da Melbourne 1956 a Città del Messico 1968. Si immaginerebbe un periodo di dodici anni di dominio assoluto, invece no. Al Oerter vinceva ai Giochi, ma nei periodi che ne separavano le edizioni, quasi scompariva. Mai prestazioni straordinarie, neppure una volta primo a quegli spietati trials che, per gli atleti americani, sono peggio delle forche caudine. Poi arrivavano i Giochi e lui entrava in scena e sotto il tripode acceso si portava a casa la medaglia d'oro, battendo per quattro volte il campione del mondo in carica in quel momento. A Tokio, Al Oerter lanciava ingabbiato in un busto ortopedico che doveva contenergli uno schiacciamento vertebrale, ma soffriva e allora, al quinto lancio, si sfilò il busto, lo appoggiò sulla sedia di un esterrefatto giudice giapponese. Lanciò per l'oro e se lo infilò nuovamente: missione compiuta. A Città del Messico, nel momento dei lanci finali, scoppiò un acquazzone terribile che costrinse tutti gli atleti a correre negli spogliatoi. Tutti tranne Al, che rimase sul campo sotto l'acqua, colpendosi ripetutamente con un asciugamano bagnato per scaldarsi. Subito dopo, di nuovo al quinto lancio, scagliò il disco a 64,78 metri. Oro, naturalmente.
La cosa più curiosa di Al Oerter fu che a 44 anni si preparò per i Giochi Olimpici del 1980. Lanciava intorno ai 67 metri e dichiarò al mondo che sarebbe andato a Mosca per vincerli. Nessuno dei discoboli favoriti si sentiva troppo tranquillo. Poi ci fu la storia del boicottaggio e tutto il resto, gli Usa non parteciparono ai Giochi, Oerter restò a casa e iniziò una splendida carriera da artista. Vinse un certo Rasshcupkin, lanciando a 66,64 metri e a tutti rimase un dubbio. Otto medaglie d'oro e tre lezioni per noi: lamentarsi non serve a niente; chi vuole una cosa con tutto se stesso e non cerca scuse alla fine, spesso, riesce a farla; non è importante gareggiare per battere qualcun altro, ma aspettare l'occasione giusta per realizzare completamente il nostro meglio.
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