venerdì 9 giugno 2017
Adelphi ha ristampato, per le amorevoli cure di Valentina Parisi, un libro che mi è molto caro, L'isola di Sakhalin di Anton Cechov. Molti anni fa me ne venne regalata un'edizione, credo incompleta, pubblicata da una casa editrice legata al Partito comunista, da Gigliola Venturi. Quando a Torino mi accinsi alla mia inchiesta sull'immigrazione meridionale in quella città, nei primi anni Sessanta, L'isola di Sakhalin diventò per me un riferimento importante, e leggendo la nuova e completa edizione mi stupisce la sua "modernità" e la sua importanza proprio per la storia di un filone letterario e sociale fondamentale come è quello dell'inchiesta, che unisce l'approfondimento e la conoscenza diretta di un fenomeno grave con la capacità di comunicare problemi e sofferenze degli ambienti studiati a lettori che non ne sanno. Il paragone più bello con il lavoro di Cechov è quello che andrebbe fatto con il Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, che non aveva scelto di visitare e raccontare la Lucania ma vi era stato spedito al confino. Le Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij hanno un valore conoscitivo enorme (come più tardi i Racconti di Kolyma di Shalamov) ma si tratta più di testimonianza che di inchiesta, di un'inchiesta forzata come sarà quella di Levi. È più inchiesta, ed è forse all'origine di quella lunga storia che arriva fino a Shalamov e a Svetlana Aleksievic, le Memorie di una contadina che Tolstoj fece raccogliere a sua cognata e corresse per la pubblicazione (è stato riproposto da Casagrande). Potremmo far risalire a quel capostipite anche le "storie di vita" raccolte nell'Italia del dopoguerra da Scotellaro, Montaldi, Dolci, Bianciardi e Cassola... Il viaggio di Cechov nell'isola dei forzati al confine col Giappone, è del 1895 (50 anni prima c'era stata l'inchiesta di Engels sulla classe operaia in Inghilterra; chissà se Cechov la conosceva). Vi scoprì un mondo terribile e si dovette confrontare con quelle ingiustizie, quel dolore di cui il nostro mondo è figlio, altrettanto e forse più di quello di Cechov, ma l'ingiustizia e il dolore non cambiano di intensità, nei singoli, da epoca a epoca. Cechov vi scoprì anche l'insufficienza della letteratura nel racconto delle pene del mondo e la sua letteratura ne fu pienamente cosciente. Non poteva prevedere che anni dopo la comunicazione di massa avrebbe assorbito anche le "inchieste partecipate" tra i generi letterari di successo, mortificando quasi sempre la verità e la stessa letteratura a vantaggio di una superficiale denuncia e dell'ipocrita armamentario della retorica giornalistica, e a detrimento della conoscenza al fine della trasformazione, come fu invece nelle intenzioni di quelli come Cechov.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI